Part time e discriminazione indiretta
Con la sentenza 29 luglio 2021 n. 21801 la Corte di Cassazione ha stabilito che l’attribuzione di un punteggio proporzionato al regime orario (part time o tempo pieno) ai fini di una promozione può costituire una forma di discriminazione indiretta se, nella sua concreta applicazione, colpisce solo una categoria di dipendenti (quelle di sesso femminile).
Nel caso di specie, una dipendente dell’Agenzia delle Entrate, in occasione di un concorso interno bandito per attribuire una progressione economica, era risultata penalizzata dal fatto di essere una dipendente part-time, essendo stata prevista nel bando l’assegnazione di un punteggio relativo alla “esperienza di servizio” riproporzionato per i lavoratori part time, in ragione del minore orario di lavoro svolto.
La Suprema Corte, in riforma della sentenza di merito, ha precisato che in coerenza con la definizione di discriminazione indiretta contenuta nelle fonti interne ed internazionali, l’articolo 25, comma 2, d.lgs. n. 198/2006 ravvisa una discriminazione indiretta di genere «quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto ai lavoratori dell’altro sesso…».
La sentenza impugnata – dopo avere erroneamente valorizzato il fatto che il criterio di selezione colpiva tutti i lavoratori part time, indipendentemente dal genere – ha verificato l’«effetto discriminatorio», con il criterio dei dati statistici ma all’interno della sola categoria dei dipendenti part-time, giungendo ad affermare che, tra i dipendenti part time, le donne non erano state svantaggiate rispetto agli uomini dal criterio di selezione.
Una volta individuati tutti i destinatari della disposizione denunciata, il giudice del merito avrebbe dovuto procedere con il metodo comparativo, tenendo conto che i lavoratori «colpiti» dalla disposizione erano tutti i lavoratori part time, ai quali veniva ridotto il punteggio riconosciuto dal bando per ciascun anno di servizio, in proporzione alla riduzione della prestazione oraria.
Per applicare correttamente il metodo di comparazione il giudice avrebbe dovuto, dunque, individuare, nell’ambito dei destinatari della disposizione in quale percentuale dei lavoratori di sesso maschile vi erano soggetti colpiti (in quanto part time) o non colpiti (in quanto full time) dalla disposizione ed in quale percentuale delle lavoratrici di sesso femminile vi erano dipendenti colpite (part time) o non colpite (full time) dalla disposizione.
All’esito del raffronto tra le rispettive percentuali, l’effetto discriminatorio emergerebbe se i dipendenti part time colpiti dal criterio di selezione fossero costituti in percentuale significativamente prevalente da donne.
In detta eventualità, spetterebbe al datore di lavoro provare la sussistenza della causa di giustificazione prevista dall’articolo 25, comma 2, d.lgs. n. 198/2006 ovvero: che la disposizione adottata riguardava requisiti essenziali allo svolgimento della attività lavorativa; che essa rispondeva ad un obiettivo legittimo; che i mezzi impiegati per il suo conseguimento erano appropriati e necessari.