Nullità del licenziamento e frode alla legge
Con la decisione 17 dicembre 2020, n. 29007 la Corte di Cassazione ha dichiarato nullo, perché in frode alla legge, il recesso datoriale intimato al dipendente dopo la sua reintegrazione nel posto di lavoro.
Il lavoratore, in seguito ad un primo licenziamento dichiarato illegittimo, era stato reintegrato in una sede per la quale la società datrice aveva già programmato una procedura di riduzione del personale.
La pronuncia in oggetto si segnala per aver sottolineato la sostanziale differenza tra frode alla legge e violazione di norme imperative.
La Corte ha, infatti, chiarito che la peculiarità del contratto in frode alla legge (art. 1344 c.c.) consiste nel fatto che gli stipulanti raggiungono, attraverso gli accordi contrattuali, il medesimo risultato vietato dalla legge “di guisa che, nonostante il mezzo impiegato sia lecito, è illecito il risultato che attraverso l’abuso del mezzo, la predisposizione di uno schema fraudolento e la distorsione della sua funzione ordinaria si vuole in concreto realizzare”.
Di contro, si ha violazione di disposizioni imperative (art. 1343 c.c.) qualora le parti perseguano il risultato vietato dall’ordinamento “non già attraverso una combinazione di atti di per sé leciti, ma mediante la stipulazione di un contratto la cui causa concreta si ponga direttamente in contrasto con disposizioni di tale natura”.
Nel caso di specie, prima ancora che venisse disposto il trasferimento del lavoratore presso la sede triestina, nell’intento fittizio di ottemperare all’ordine di reintegrazione del giudice, era già noto alla società il dato della strutturale esuberanza della sede di destinazione, in perdita ormai da anni.