Mobbing e responsabilità del datore per l’ambiente di lavoro stressogeno
Cass. civ., sez. lav., ord. 12 febbraio 2024 n. 3822 e 3791
Due recenti ordinanze della Cassazione esprimono principi rilevanti in tema di prova del mobbing e obbligo del datore di lavoro di tutelare il prestatore nei confronti di un ambiente di lavoro stressogeno.
Per quanto riguarda il primo profilo, la Corte ricorda che ai fini della valutazione della sussistenza del mobbing il giudice deve effettuare una valutazione complessiva dei fatti che consenta di affermare o negare la presenza di un intento persecutorio da parte del datore di lavoro, il cui onere della prova è a carico di chi assume di aver subito la condotta vessatoria. Per converso, ha rilievo secondario la legittimità o illegittimità dei singoli comportamenti adottati dal datore: «così come una pluralità di comportamenti illegittimi non implica, di per sé, il mobbing, allo stesso modo la legittimità di ogni singolo comportamento non esclude l’intento vessatorio». La legittimità dei comportamenti può rilevare solo come elemento sintomatico dell’assenza dell’elemento soggettivo rispetto alla condotta mobbizzante considerata in modo unitario.
Per quanto riguarda il secondo profilo, la Corte ha ribadito che la riscontrata assenza degli estremi del mobbing non fa venire meno la necessità di valutare e accertare l’eventuale responsabilità del datore di lavoro per aver colposamente omesso di impedire che le condizioni stressogene dell’ambiente di lavoro causassero un danno alla salute del prestatore di lavoro. Infatti, rientra nell’ambito della posizione di garanzia, assunta dal datore di lavoro ex art. 2087 c.c., l’obbligo di adottare tutte le misure e gli accorgimenti necessari a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro contro i danni che possono essere provocati da condizioni ambientali lavorative lesive della salute, quale può essere un contesto lavorativo stressogeno e conflittuale.