Licenziamento motivato dal profitto?
La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 25201 del 7 dicembre 2016, ha affermato la legittimità del provvedimento di licenziamento, qualora quest’ultimo sia giustificato dalla necessità di razionalizzare le procedure produttive al fine di innalzare il profitto aziendale.
Tale ricostruzione assume argomentazioni diverse da quelle del diverso (e più diffuso) orientamento giurisprudenziale, secondo cui il giustificato motivo oggettivo presuppone che il datore di lavoro debba “far fronte a sfavorevoli e non meramente contingenti situazioni influenti in modo decisivo sulla normale attività produttiva” ovvero che il licenziamento sia irrogato “per sostenere spese di carattere straordinario”.
Secondo quanto affermato dalla Cassazione, “concedere” all’imprenditore la possibilità di sopprimere una specifica funzione aziendale solo in caso di crisi economica o di necessità di riduzione dei costi rappresenta “un limite gravemente vincolante l’autonomia di gestione dell’impresa, garantita costituzionalmente”.
Pur essendo pacifico, in base a quanto previsto dall’art. 41 Cost., che il legislatore debba determinare i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali, non sussiste alcun dubbio che la decisione in merito alla dimensione occupazionale dell’azienda debba spettare all’imprenditore. Tale scelta è sicuramente libera nel momento genetico dell’attività imprenditoriale, e, allo stesso modo, deve mantenersi libera durante lo svolgimento della stessa.
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