Licenziamento disciplinare: la tutela reintegratoria solo in caso di condotte tipizzate dal CCNL è irragionevole
Con ordinanza interlocutoria del 27 maggio 2021 n. 14777 la Corte di Cassazione, Sezione Sesta, ha disposto la trasmissione del procedimento alla Sezione Quarta Lavoro affermando che l’orientamento assunto dalla stessa Corte circa l’interpretazione dell’art. 18, comma 4, presenta profili di irragionevolezza là dove individua il discrimine tra la tutela reintegratoria di cui al comma 4 e quella indennitaria di cui al comma 5 dell’art. 18, in base al dato della coincidenza del fatto addebitato con una specifica fattispecie tipizzata dal contratto collettivo come punibile con sanzione conservativa.
Nello specifico, il Collegio ha affermato che in presenza di fattispecie punite con misure conservative e descritte attraverso clausole generali, l’attività compiuta dal giudice ha ad oggetto l’interpretazione della fonte negoziale e la sussumibilità del fatto contestato nella disposizione contrattuale ed implica un giudizio di diritto che compete al giudice di merito e, in modo diretto, a seguito della modifica dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. ad opera del d.lgs. n. 40/2006, anche al giudice di legittimità.
Il vizio di sussunzione di cui all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. è ipotizzabile anche nel caso di norme (pure contrattuali) che contengano clausole generali o concetti giuridici indeterminati
Da ciò consegue che l’attività di sussunzione della condotta contestata al lavoratore nella previsione contrattuale espressa attraverso clausole generali non trasmoda nel giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato, ma si arresta alla interpretazione ed applicazione della norma contrattuale, rimanendo nei limiti di attuazione del principio di proporzionalità come già eseguito dalle parti sociali attraverso la previsione del contratto collettivo.
Il giudice non compie una autonoma valutazione di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto, ma interpreta il contratto collettivo e lo applica alla fattispecie concreta. Il suo compito è stabilire, ad esempio, se una determinata condotta sia sussumibile nella nozione giuridica di negligenza lieve e non decidere se per la condotta di negligenza lieve sia proporzionata la sanzione conservativa o quella espulsiva.
La circostanza che alcune condotte non risultino tipizzate dai contratti collettivi come suscettibili di sanzioni conservative, specie in presenza di formule generali o aperte oppure di norme di chiusura, non può costituire un indice significativo e plausibile della volontà delle parti sociali di escludere tali condotte dal novero di quelle meritevoli delle sanzioni disciplinari più blande, cioè conservative.
Anzitutto, perché la tipizzazione di alcune condotte non è concepita dalle parti sociali in vista e in funzione della distinzione che l’art. 18 pone, ai commi 4 e 5, tra le due forme di tutela.
Inoltre, perché quella tipizzazione non è realizzata secondo un criterio idoneo a dare ragione del fatto per cui solo alcuni illeciti disciplinari, e non altri, meritino la tutela reintegratoria: quella tipizzazione, cioè, non ha un nesso eziologico e valoriale rispetto alla funzione di discrimine che viene ad essa attribuita.
Con la conseguenza, irragionevole, di far ricadere sui lavoratori le lacune e la approssimazione della disciplina contrattuale collettiva.