Licenziamento della lavoratrice madre: la cessazione dell’attività aziendale deve essere «sostanziale»
Cass. civ., sez. lav., ord. 19/12/2023, n. 35527
In un caso relativo alla nullità del licenziamento intimato da una società cooperativa dichiarata fallita ad una lavoratrice madre, entro l’anno dalla nascita del figlio, la Cassazione ha precisato i confini dell’eccezione al divieto di licenziamento della lavoratrice in stato di gravidanza e della lavoratrice madre, prevista dalla lettera b) del co. 3 dell’art. 54, d.lgs. 151/2001, secondo cui il divieto di licenziamento non si applica nel caso «di cessazione dell’attività dell’azienda». Secondo la difesa della società, nella fattispecie doveva essere ricompreso il caso in cui l’esercizio provvisorio non sia stato disposto con la sentenza dichiarativa del fallimento o successivamente autorizzato, anche in un contesto in cui le attività di liquidazione ancora non sono iniziate e anzi sono in corso attività conservative in funzione di trasferimento a terzi dell’azienda.
La Cassazione ha disatteso questa opinione, affermando al contrario che, in materia, deve prevalere una nozione sostanziale – “naturalistica” – e non formale della cessazione dell’attività aziendale. Infatti la deroga al generale divieto di licenziamento della lavoratrice madre, prevista dalla lettera b) citata, non può essere interpretata in senso estensivo e pertanto, dal suo ambito di operatività deve essere esclusa ogni possibilità che comporti, in qualche modo, la continuazione dell’impresa, a qualsiasi titolo.
La Cassazione ha, quindi, confermato la nullità del licenziamento acclarata dai giudici di merito.