Formattazione del pc aziendale e giusta causa di licenziamento
Con la sentenza n. 33809 del 12 novembre 2021 la Corte di Cassazione ha affermato che la condotta del dipendente che distrugge beni aziendali, quali quelli memorizzati nel personal computer, integra violazione dei doveri di fedeltà e di diligenza, tale da costituire giusta causa di licenziamento.
La Corte, in particolare, ha ricordato che anche la cancellazione di dati, che non escluda la possibilità di recupero se non con l’uso anche dispendioso di particolari procedure, integra gli estremi oggettivi della fattispecie delittuosa dell’art. 635 bis c.p.
Nel caso di specie, il dirigente, con mansioni di direttore commerciale, dopo essersi dimesso, aveva riconsegnato il pc aziendale da cui aveva cancellato documenti, dati e informazioni.
La società, quindi, dopo aver affidato l’hard disk ad un perito informatico per le relative analisi, aveva recuperato una serie di conversazioni scritte effettuate dal lavoratore sull’applicativo Skype con soggetti in concorrenza con la stessa società, ai quali aveva rivelato informazioni tecniche sui metodi di produzione.
In materia di trattamento dei dati personali, gli Ermellini hanno precisato che il diritto di difesa in giudizio prevale su quello di inviolabilità della corrispondenza, consentendo l’art. 24, lett. f) I. n. 196/2003 di prescindere dal consenso della parte interessata per il trattamento di tali dati personali, quando esso sia necessario per la tutela dell’esercizio di un diritto in sede giudiziaria, a condizione che i dati siano trattati esclusivamente per tale finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento.