Con la sentenza n. 2805 del 15 novembre 2021 il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha affermato che le condotte datoriali finalizzate a indurre la lavoratrice in uno stato di prostrazione e a farla sentire isolata nell’ambiente di lavoro, costituiscono elementi presuntivi gravi e concordanti che inducono a qualificare il licenziamento alla stessa irrogato come ritorsivo.
Il Tribunale, in particolare, ha ricordato che l’allegazione, da parte del lavoratore, del relativo carattere del licenziamento intimatogli non esonera il datore di lavoro dall’onere di provare, ai sensi dell’art. 5 della n. 604/1966, l’esistenza della giusta causa o del giustificato motivo del recesso; solo ove tale prova sia stata almeno apparentemente fornita, incombe sul lavoratore l’onere di dimostrare l’intento ritorsivo e, dunque, l’illiceità del motivo unico e determinante del recesso.
Peraltro, pur essendo onerato il lavoratore di provare il carattere ritorsivo del licenziamento, il giudice di merito può valorizzare a tal fine tutto il complesso degli elementi acquisiti al giudizio, compresi quelli già considerati per escludere il giustificato motivo oggettivo, nel caso in cui questi elementi, da soli o nel concorso con altri, nella loro valutazione unitaria e globale consentano di ritenere raggiunta, anche in via presuntiva, la prova del carattere ritorsivo del recesso.