Cassazione penale: mobbing e atti persecutori
La Corte di Cassazione, V sezione penale, con la sentenza del 5 aprile 2022, n. 12827, ha condannato per atti persecutori aggravati il Presidente di una società di raccolta rifiuti che aveva “reiteratamente minacciato le persone offese di “cementarle” in un pilastro, li ha invitati a confrontarsi fisicamente con lui, li ha sottoposti a pubblici rimproveri inutilmente mortificanti e ad una serie di provvedimenti disciplinari culminati anche in un licenziamento al fine di creare terrore tra i dipendenti iscritti ad una associazione sindacale”.
Per la Cassazione penale per la sussistenza del delitto di cui all’art. 612-bis cod. pen. (atti persecutori), “è sufficiente il dolo generico, con la conseguenza che è richiesta la mera volontà di attuare reiterate condotte di minaccia e molestia, nella consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice” (cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita).
A differenza del mobbing nell’ambito civilistico, per cui è richiesto il perseguimento di uno scopo specifico, per la configurazione degli atti persecutori non occorre, dunque, che le condotte siano dirette ad un fine specifico.