Con la circolare n. 84 del 10 luglio 2020 l’INPS ha illustrato le novità apportate dal d.l. n. 34/2020 alle misure di sostegno del reddito previste dal d.l. n. 18/2020, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, relativamente alle ipotesi di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19, nonché le ulteriori misure in materia di trattamenti di integrazione salariale introdotte dal decreto-legge 16 giugno 2020, n. 52.
Com’è noto l’art. 19, comma 1, d.l. n. 18/2020, come novellato dall’art. 68 d.l. n. 34/2020, prevede che i datori di lavoro che nell’anno 2020 sospendono o riducono l’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19, possono presentare domanda di concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale o di accesso all’assegno ordinario con causale “COVID-19 nazionale”, per una durata di 9 settimane per periodi decorrenti dal 23 febbraio 2020 al 31 agosto 2020, incrementate di ulteriori 5 settimane nel medesimo periodo per i soli datori di lavoro che abbiamo interamente fruito il periodo precedentemente concesso di 9 settimane.
L’articolo 1 del d.l. n. 52/2020, in deroga a quanto disposto dal citato articolo 19, ha inoltre previsto la possibilità di usufruire di ulteriori 4 settimane per periodi anche antecedenti al 1° settembre 2020 per i soli datori di lavoro che abbiano interamente fruito delle quattordici settimane precedentemente concesse.
Resta ferma la durata massima di 18 settimane considerando cumulativamente tutti i periodi riconosciuti, ad eccezione dei datori di lavoro che hanno unità produttive o lavoratori residenti o domiciliati nei comuni delle c.d. Zone rosse, per i quali la durata massima complessiva è determinata in 31 settimane.
L’INPS ha precisato che la possibilità di trasmettere domanda per un ulteriore periodo non superiore a 5 settimane con la causale “COVID-19 nazionale”, per periodi decorrenti dal 23 febbraio 2020 al 31 agosto 2020, resta circoscritta esclusivamente ai datori di lavoro che abbiano completato la fruizione delle prime 9 settimane di integrazione salariale.
E che non è necessario che le settimane richieste siano consecutive rispetto a quelle originariamente autorizzate, ma le stesse devono essere obbligatoriamente collocate entro il 31 agosto 2020.
L’Istituto ha inoltre ribadito che l’intervento con causale “COVID-19 nazionale” non soggiace all’obbligo di pagamento del contributo addizionale di cui agli artt. 5, 29 e 33 del d.lgs. n. 148/2015, e, ai fini del computo della durata, non rientra nel limite delle 52 settimane nel biennio mobile per la CIGO/Assegno ordinario dei Fondi di solidarietà di cui all’art. 26 del d.lgs n. 148/2015 e nel limite delle 26 settimane per l’assegno ordinario del Fondo di integrazione salariale (FIS).
Inoltre, il trattamento in questione deroga sia al limite dei 24 mesi (30 mesi per le imprese del settore edile e lapideo) nel quinquennio mobile, previsto, per la durata massima complessiva dei trattamenti, dall’art. 4 del D.lgs n. 148/2015, sia al limite di 1/3 delle ore lavorabili di cui all’articolo 12, comma 5, del medesimo decreto legislativo.
Pertanto, possono richiedere il trattamento di CIGO/assegno ordinario con causale “COVID-19 nazionale” anche le aziende che hanno già raggiunto i limiti di cui sopra.
I periodi autorizzati con causale “COVID-19 nazionale” sono, inoltre, neutralizzati ai fini di successive richieste di CIGO/assegno ordinario.
L’INPS ha ricordato che le aziende che hanno esaurito le 18 settimane di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa con causale “COVID-19 nazionale” possono eventualmente fare ricorso alle prestazioni a sostegno del reddito previste dalla normativa generale, qualora sussista disponibilità finanziaria nelle relative gestioni di appartenenza.
E che ai fini della richiesta di integrazione salariale ordinaria, la sospensione o riduzione dell’attività lavorativa deve essere riconducibile ad una delle causali individuate dal decreto n. 95442/2016.
Nel quadro delle innovazioni apportate dal d.l. n. 34/2020 all’impianto normativo in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, l’articolo 80 del citato decreto, nel modificare l’articolo 46 del d.l. n. 18/2020, ha aggiunto il comma 1-bis, che dispone: “il datore di lavoro che, indipendentemente dal numero dei dipendenti, nel periodo dal 23 febbraio 2020 al 17 marzo 2020 abbia proceduto al recesso del contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, può, in deroga alle previsioni di cui all’articolo 18, comma 10, della legge 20 maggio 1970, n. 300, revocare in ogni tempo il recesso purché contestualmente faccia richiesta del trattamento di cassa integrazione salariale, di cui agli articoli da 19 a 22 del presente decreto, dalla data in cui abbia avuto efficacia il licenziamento. In tal caso, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, senza oneri né sanzioni per il datore di lavoro.”
L’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale ha precisato che i datori di lavoro che rientrano nella fattispecie sopra descritta potranno presentare domande, anche integrative, di accesso al trattamento per i lavoratori per cui abbiano revocato il licenziamento, purché nel rispetto delle 18 settimane complessive.
Stante il richiamo operato dal legislatore alle misure di cui agli articoli dal 19 a 22 del d.l. n. 18/2020, i datori di lavoro potranno richiedere l’ammortizzatore sociale spettante (CIGO, assegno di solidarietà, cassa integrazione in deroga, CISOA), in relazione alla natura e alle dimensioni dell’azienda, secondo la disciplina prevista per la causale “COVID-19”.
L’articolo 68 del d.l. n. 34/2020 ha inserito all’articolo 19 del d.l. n. 18/2020, il comma 3-bis, il quale prevede che il trattamento di cassa integrazione salariale per gli operai agricoli (CISOA), richiesto per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19, è concesso in deroga ai limiti di fruizione riferiti al singolo lavoratore (90 giornate) e al numero di giornate lavorative da svolgere presso la stessa azienda di cui all’articolo 8 della legge n. 457/1972, pari a 181 giornate nell’anno solare di riferimento.
Il trattamento è concesso per un periodo massimo di 90 giorni, dal 23 febbraio 2020 al 31 ottobre 2020 e comunque con termine del periodo entro il 31 dicembre 2020.
Il predetto trattamento è neutralizzato ai fini delle successive richieste.
L’INPS ha chiarito che a partire dalla data di pubblicazione della presente circolare, le domande di concessione della CISOA per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19 devono essere presentate con la nuova causale “CISOA DL RILANCIO” e possono essere presentate anche per i lavoratori che abbiano superato i limiti di fruizione pari a 90 giornate o non abbiano maturato il requisito di anzianità lavorativa pari a 181 giornate nell’anno solare di riferimento.
Nuovo profilo di incostituzionalità del Jobs Act: depositate le motivazioni della Consulta
da adminNella giornata di oggi la Corte Costituzionale ha depositato le motivazioni della sentenza n. 150/2020, con la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 d.lgs. n. 23/2015 nella parte in cui fissa un criterio rigido e automatico di determinazione dell’indennità risarcitoria in caso di licenziamenti viziati sul piano formale e procedurale.
Si legge nelle motivazioni della sentenza che il criterio di commisurazione dell’indennità “non fa che accentuare la marginalità dei vizi formali e procedurali e ne svaluta ancor più la funzione di garanzia di fondamentali valori di civiltà giuridica, orientati alla tutela della dignità della persona del lavoratore”.
In particolare, nei casi di anzianità modesta “si riducono in modo apprezzabile sia la funzione compensativa sia l’efficacia deterrente della tutela indennitaria”.
In allegato le motivazioni della sentenza.
Misure anti-Covid19 prorogate fino al 31 luglio 2020
da adminE’ stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 176 del 14 luglio 2020 il testo del nuovo DPCM con il quale, allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19 sull’intero territorio nazionale, sono state prorogate fino al 31 luglio 2020 le misure di cui al DPCM 11 giugno 2020.
Sono state altresì confermate e restano in vigore, fino al 31 luglio 2020, le disposizioni contenute nelle ordinanze del Ministro della salute 30 giugno 2020 e 9 luglio 2020.
Sono stati inoltre aggiornati gli allegati 9 e 15 al DPCM 11 giugno 2020, recanti rispettivamente “Linee guida per la riapertura delle Attività Economiche, Produttive e Ricreative” e “Linee guida per l’informazione agli utenti e le modalità organizzative per il contenimento della diffusione del covid-19 in materia di trasporto pubblico”.
Smart working e buoni pasto: la decisione del Tribunale di Venezia
da adminCon decreto dell’8 luglio 2020, emesso al termine di un procedimento ex art. 28, l. n. 300/1970, il Tribunale di Venezia ha stabilito che il lavoro agile è incompatibile con la fruizione dei buoni pasto.
Secondo il Giudice del Lavoro per la maturazione del buono pasto sostitutivo del servizio mensa è necessario che l’orario di lavoro sia organizzato con specifiche scadenze orarie e che il lavoratore consumi il pasto al di fuori dell’orario di servizio.
Quando la prestazione di lavoro è resa in modalità di lavoro agile, questi presupposti non sussistono, proprio perché il lavoratore è libero di organizzare come meglio ritiene la prestazione sotto il profilo della collocazione temporale.
Sul punto il Giudice di Venezia richiama una decisione della Suprema Corte che ha escluso la natura di elemento “normale” della retribuzione del buono pasto, trattandosi di un’“agevolazione di carattere assistenziale collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale” (Cass., 29.11.2019, n. 31137).
Pertanto – ad avviso del Tribunale – i buoni pasto non rientrano sic et simpliciter nella nozione di trattamento economico e normativo che deve essere garantito in ogni caso al lavoratore in smart working ex art. 20 l. n. 81/2017.
Le nuove indicazioni operative INPS su CIGO, assegno ordinario e CISOA
da adminCon la circolare n. 84 del 10 luglio 2020 l’INPS ha illustrato le novità apportate dal d.l. n. 34/2020 alle misure di sostegno del reddito previste dal d.l. n. 18/2020, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, relativamente alle ipotesi di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19, nonché le ulteriori misure in materia di trattamenti di integrazione salariale introdotte dal decreto-legge 16 giugno 2020, n. 52.
Com’è noto l’art. 19, comma 1, d.l. n. 18/2020, come novellato dall’art. 68 d.l. n. 34/2020, prevede che i datori di lavoro che nell’anno 2020 sospendono o riducono l’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19, possono presentare domanda di concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale o di accesso all’assegno ordinario con causale “COVID-19 nazionale”, per una durata di 9 settimane per periodi decorrenti dal 23 febbraio 2020 al 31 agosto 2020, incrementate di ulteriori 5 settimane nel medesimo periodo per i soli datori di lavoro che abbiamo interamente fruito il periodo precedentemente concesso di 9 settimane.
L’articolo 1 del d.l. n. 52/2020, in deroga a quanto disposto dal citato articolo 19, ha inoltre previsto la possibilità di usufruire di ulteriori 4 settimane per periodi anche antecedenti al 1° settembre 2020 per i soli datori di lavoro che abbiano interamente fruito delle quattordici settimane precedentemente concesse.
Resta ferma la durata massima di 18 settimane considerando cumulativamente tutti i periodi riconosciuti, ad eccezione dei datori di lavoro che hanno unità produttive o lavoratori residenti o domiciliati nei comuni delle c.d. Zone rosse, per i quali la durata massima complessiva è determinata in 31 settimane.
L’INPS ha precisato che la possibilità di trasmettere domanda per un ulteriore periodo non superiore a 5 settimane con la causale “COVID-19 nazionale”, per periodi decorrenti dal 23 febbraio 2020 al 31 agosto 2020, resta circoscritta esclusivamente ai datori di lavoro che abbiano completato la fruizione delle prime 9 settimane di integrazione salariale.
E che non è necessario che le settimane richieste siano consecutive rispetto a quelle originariamente autorizzate, ma le stesse devono essere obbligatoriamente collocate entro il 31 agosto 2020.
L’Istituto ha inoltre ribadito che l’intervento con causale “COVID-19 nazionale” non soggiace all’obbligo di pagamento del contributo addizionale di cui agli artt. 5, 29 e 33 del d.lgs. n. 148/2015, e, ai fini del computo della durata, non rientra nel limite delle 52 settimane nel biennio mobile per la CIGO/Assegno ordinario dei Fondi di solidarietà di cui all’art. 26 del d.lgs n. 148/2015 e nel limite delle 26 settimane per l’assegno ordinario del Fondo di integrazione salariale (FIS).
Inoltre, il trattamento in questione deroga sia al limite dei 24 mesi (30 mesi per le imprese del settore edile e lapideo) nel quinquennio mobile, previsto, per la durata massima complessiva dei trattamenti, dall’art. 4 del D.lgs n. 148/2015, sia al limite di 1/3 delle ore lavorabili di cui all’articolo 12, comma 5, del medesimo decreto legislativo.
Pertanto, possono richiedere il trattamento di CIGO/assegno ordinario con causale “COVID-19 nazionale” anche le aziende che hanno già raggiunto i limiti di cui sopra.
I periodi autorizzati con causale “COVID-19 nazionale” sono, inoltre, neutralizzati ai fini di successive richieste di CIGO/assegno ordinario.
L’INPS ha ricordato che le aziende che hanno esaurito le 18 settimane di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa con causale “COVID-19 nazionale” possono eventualmente fare ricorso alle prestazioni a sostegno del reddito previste dalla normativa generale, qualora sussista disponibilità finanziaria nelle relative gestioni di appartenenza.
E che ai fini della richiesta di integrazione salariale ordinaria, la sospensione o riduzione dell’attività lavorativa deve essere riconducibile ad una delle causali individuate dal decreto n. 95442/2016.
Nel quadro delle innovazioni apportate dal d.l. n. 34/2020 all’impianto normativo in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, l’articolo 80 del citato decreto, nel modificare l’articolo 46 del d.l. n. 18/2020, ha aggiunto il comma 1-bis, che dispone: “il datore di lavoro che, indipendentemente dal numero dei dipendenti, nel periodo dal 23 febbraio 2020 al 17 marzo 2020 abbia proceduto al recesso del contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, può, in deroga alle previsioni di cui all’articolo 18, comma 10, della legge 20 maggio 1970, n. 300, revocare in ogni tempo il recesso purché contestualmente faccia richiesta del trattamento di cassa integrazione salariale, di cui agli articoli da 19 a 22 del presente decreto, dalla data in cui abbia avuto efficacia il licenziamento. In tal caso, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, senza oneri né sanzioni per il datore di lavoro.”
L’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale ha precisato che i datori di lavoro che rientrano nella fattispecie sopra descritta potranno presentare domande, anche integrative, di accesso al trattamento per i lavoratori per cui abbiano revocato il licenziamento, purché nel rispetto delle 18 settimane complessive.
Stante il richiamo operato dal legislatore alle misure di cui agli articoli dal 19 a 22 del d.l. n. 18/2020, i datori di lavoro potranno richiedere l’ammortizzatore sociale spettante (CIGO, assegno di solidarietà, cassa integrazione in deroga, CISOA), in relazione alla natura e alle dimensioni dell’azienda, secondo la disciplina prevista per la causale “COVID-19”.
L’articolo 68 del d.l. n. 34/2020 ha inserito all’articolo 19 del d.l. n. 18/2020, il comma 3-bis, il quale prevede che il trattamento di cassa integrazione salariale per gli operai agricoli (CISOA), richiesto per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19, è concesso in deroga ai limiti di fruizione riferiti al singolo lavoratore (90 giornate) e al numero di giornate lavorative da svolgere presso la stessa azienda di cui all’articolo 8 della legge n. 457/1972, pari a 181 giornate nell’anno solare di riferimento.
Il trattamento è concesso per un periodo massimo di 90 giorni, dal 23 febbraio 2020 al 31 ottobre 2020 e comunque con termine del periodo entro il 31 dicembre 2020.
Il predetto trattamento è neutralizzato ai fini delle successive richieste.
L’INPS ha chiarito che a partire dalla data di pubblicazione della presente circolare, le domande di concessione della CISOA per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19 devono essere presentate con la nuova causale “CISOA DL RILANCIO” e possono essere presentate anche per i lavoratori che abbiano superato i limiti di fruizione pari a 90 giornate o non abbiano maturato il requisito di anzianità lavorativa pari a 181 giornate nell’anno solare di riferimento.
Lo smart working è una misura di prevenzione del contagio da Covid-19?
da adminIl prossimo 9 luglio, dalle ore 9.30 alle ore 13, si terrà un seminario in videoconferenza intitolato “Salute e sicurezza sul lavoro nell’emergenza Covid-19”, organizzato dalla Fondazione Rubes Triva in collaborazione con Confservizi Cispel Toscana.
Nella mia relazione mi occuperò del lavoro agile nella prospettiva emergenziale e dunque della valutazione del lavoro agile come misura di prevenzione del contagio da Covid-19.
Insieme a me interverranno il Prof. Paolo Pascucci (Università degli Studi di Urbino Carlo Bo), il Prof. Alberto Andreani (Università degli Studi di Urbino Carlo Bo) e il Dott. Andrea Sbandati (Direttore Confservizi Cispel Toscana).
Il seminario è introdotto e moderato dal Dott. Giuseppe Mulazzi (Direttore Fondazione Rubes Triva).
La compatibilità dello smart working con le caratteristiche della prestazione: l’ordinanza del Tribunale di Roma
da adminIl Tribunale di Roma, con ordinanza del 20 giugno 2020 resa a definizione di un procedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c., ha affermato che per stabilire la compatibilità del lavoro agile con lo svolgimento della prestazione lavorativa, la valutazione deve essere fatta in concreto avendo riguardo alla specifica attività svolta e che incombe sul datore di lavoro l’onere di provare detta incompatibilità.
Nel caso di specie la lavoratrice, dipendente di un’azienda sanitaria pubblica, faceva parte delle task force organizzate per la gestione dell’emergenza Covid, ma le mansioni attribuitele di rapporto con l’utenza potevano essere svolte da remoto e non erano dunque incompatibili con il lavoro a distanza.
Il Tribunale ha dunque ordinato all’azienda di adibire la lavoratrice al lavoro agile anche ai sensi dell’art. 39, comma 1, d.l. n. 18/2020.