Con interpello n. 3 del 9 giugno 2021 il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha risposto ad un quesito del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del lavoro, in merito alla possibile esclusione dei dipendenti in smart working dalla base di computo dell’organico aziendale per la determinazione del numero dei soggetti disabili da assumere ai sensi della l. n. 68/1999.
L’istanza formulata prende le mosse dalla previsione contenuta nell’articolo 23 del d.lgs. n. 80/2015, che sancisce l’esclusione dei “lavoratori ammessi al telelavoro dal computo dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi per l’applicazione di particolari normative ed istituti”.
Il Ministero, dopo aver illustrato le differenze tra i due istituti, ha affermato che non si rinviene nella l.n. 81/2017 una disposizione analoga a quella contenuta nell’articolo 23 sopra menzionato, che escluda espressamente i lavoratori agili dall’organico aziendale, per qualsivoglia finalità.
Inoltre, i casi di esclusione contemplati dall’articolo 4, comma 1, della legge n. 68/1999, avendo carattere tassativo, non sono suscettibili di interpretazione analogica o estensiva.
Tale tassatività è stata sancita dalla Corte di Cassazione che, in materia di determinazione della quota di riserva ai fini delle assunzioni obbligatorie, ha affermato che le disposizioni della legge n. 68/1999, in quanto lex specialis “avente ad oggetto la protezione dell’inserimento e dell’integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro”, prevalgono su quelle di carattere generale.
La priorità applicativa alla legge n. 68/1999 deve essere garantita anche alla luce del complesso quadro di norme di derivazione internazionale ed europea, tutte orientate a garantire una tutela rafforzata alle persone con disabilità e ai cui principi deve dunque conformarsi l’interpretazione della normativa nazionale: la Convenzione ONU del 13 dicembre 2006, ratificata dall’Italia con legge n. 18/2009; la Carta di Nizza sui diritti fondamentali dell’Unione europea (art. 26) e la Carta sociale europea (art. 15) (V. Cass. sent. n. 2210/2016).
Pertanto, laddove fosse ritenuta possibile l’esclusione dal computo dell’organico aziendale dei lavoratori in smart working, in assenza di un’espressa previsione in tal senso all’interno dell’ordinamento, risulterebbe di fatto pregiudicata in modo significativo la logica inclusiva della normativa speciale sulle assunzioni obbligatorie.
Il Ministero del Lavoro ha evidenziato, infine, che l’inserimento “a pieno titolo” dei lavoratori agili nell’organico aziendale appare suffragato da una ricostruzione sistematica della normativa vigente sui criteri di computo dell’organico aziendale in ambiti applicativi diversi da quello delle assunzioni obbligatorie, come ad esempio in materia di integrazione salariale (a titolo esemplificativo si veda l’articolo 20 del d.lgs. n. 148/2015 per l’erogazione del trattamento CIGS), che non escludono espressamente tale categoria di lavoratori ai fini della determinazione dei limiti numerici.
Sulla base delle argomentazioni sopra esposte, si conclude pertanto affermando che i lavoratori agili non possono essere esclusi dal computo per la determinazione della quota di riserva.
Collocamento obbligatorio: nessuna esclusione dalla base di computo per i lavoratori in smart working
da adminCon interpello n. 3 del 9 giugno 2021 il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha risposto ad un quesito del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del lavoro, in merito alla possibile esclusione dei dipendenti in smart working dalla base di computo dell’organico aziendale per la determinazione del numero dei soggetti disabili da assumere ai sensi della l. n. 68/1999.
L’istanza formulata prende le mosse dalla previsione contenuta nell’articolo 23 del d.lgs. n. 80/2015, che sancisce l’esclusione dei “lavoratori ammessi al telelavoro dal computo dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi per l’applicazione di particolari normative ed istituti”.
Il Ministero, dopo aver illustrato le differenze tra i due istituti, ha affermato che non si rinviene nella l.n. 81/2017 una disposizione analoga a quella contenuta nell’articolo 23 sopra menzionato, che escluda espressamente i lavoratori agili dall’organico aziendale, per qualsivoglia finalità.
Inoltre, i casi di esclusione contemplati dall’articolo 4, comma 1, della legge n. 68/1999, avendo carattere tassativo, non sono suscettibili di interpretazione analogica o estensiva.
Tale tassatività è stata sancita dalla Corte di Cassazione che, in materia di determinazione della quota di riserva ai fini delle assunzioni obbligatorie, ha affermato che le disposizioni della legge n. 68/1999, in quanto lex specialis “avente ad oggetto la protezione dell’inserimento e dell’integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro”, prevalgono su quelle di carattere generale.
La priorità applicativa alla legge n. 68/1999 deve essere garantita anche alla luce del complesso quadro di norme di derivazione internazionale ed europea, tutte orientate a garantire una tutela rafforzata alle persone con disabilità e ai cui principi deve dunque conformarsi l’interpretazione della normativa nazionale: la Convenzione ONU del 13 dicembre 2006, ratificata dall’Italia con legge n. 18/2009; la Carta di Nizza sui diritti fondamentali dell’Unione europea (art. 26) e la Carta sociale europea (art. 15) (V. Cass. sent. n. 2210/2016).
Pertanto, laddove fosse ritenuta possibile l’esclusione dal computo dell’organico aziendale dei lavoratori in smart working, in assenza di un’espressa previsione in tal senso all’interno dell’ordinamento, risulterebbe di fatto pregiudicata in modo significativo la logica inclusiva della normativa speciale sulle assunzioni obbligatorie.
Il Ministero del Lavoro ha evidenziato, infine, che l’inserimento “a pieno titolo” dei lavoratori agili nell’organico aziendale appare suffragato da una ricostruzione sistematica della normativa vigente sui criteri di computo dell’organico aziendale in ambiti applicativi diversi da quello delle assunzioni obbligatorie, come ad esempio in materia di integrazione salariale (a titolo esemplificativo si veda l’articolo 20 del d.lgs. n. 148/2015 per l’erogazione del trattamento CIGS), che non escludono espressamente tale categoria di lavoratori ai fini della determinazione dei limiti numerici.
Sulla base delle argomentazioni sopra esposte, si conclude pertanto affermando che i lavoratori agili non possono essere esclusi dal computo per la determinazione della quota di riserva.
Licenziamento disciplinare: la tutela reintegratoria solo in caso di condotte tipizzate dal CCNL è irragionevole
da adminCon ordinanza interlocutoria del 27 maggio 2021 n. 14777 la Corte di Cassazione, Sezione Sesta, ha disposto la trasmissione del procedimento alla Sezione Quarta Lavoro affermando che l’orientamento assunto dalla stessa Corte circa l’interpretazione dell’art. 18, comma 4, presenta profili di irragionevolezza là dove individua il discrimine tra la tutela reintegratoria di cui al comma 4 e quella indennitaria di cui al comma 5 dell’art. 18, in base al dato della coincidenza del fatto addebitato con una specifica fattispecie tipizzata dal contratto collettivo come punibile con sanzione conservativa.
Nello specifico, il Collegio ha affermato che in presenza di fattispecie punite con misure conservative e descritte attraverso clausole generali, l’attività compiuta dal giudice ha ad oggetto l’interpretazione della fonte negoziale e la sussumibilità del fatto contestato nella disposizione contrattuale ed implica un giudizio di diritto che compete al giudice di merito e, in modo diretto, a seguito della modifica dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. ad opera del d.lgs. n. 40/2006, anche al giudice di legittimità.
Il vizio di sussunzione di cui all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. è ipotizzabile anche nel caso di norme (pure contrattuali) che contengano clausole generali o concetti giuridici indeterminati
Da ciò consegue che l’attività di sussunzione della condotta contestata al lavoratore nella previsione contrattuale espressa attraverso clausole generali non trasmoda nel giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato, ma si arresta alla interpretazione ed applicazione della norma contrattuale, rimanendo nei limiti di attuazione del principio di proporzionalità come già eseguito dalle parti sociali attraverso la previsione del contratto collettivo.
Il giudice non compie una autonoma valutazione di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto, ma interpreta il contratto collettivo e lo applica alla fattispecie concreta. Il suo compito è stabilire, ad esempio, se una determinata condotta sia sussumibile nella nozione giuridica di negligenza lieve e non decidere se per la condotta di negligenza lieve sia proporzionata la sanzione conservativa o quella espulsiva.
La circostanza che alcune condotte non risultino tipizzate dai contratti collettivi come suscettibili di sanzioni conservative, specie in presenza di formule generali o aperte oppure di norme di chiusura, non può costituire un indice significativo e plausibile della volontà delle parti sociali di escludere tali condotte dal novero di quelle meritevoli delle sanzioni disciplinari più blande, cioè conservative.
Anzitutto, perché la tipizzazione di alcune condotte non è concepita dalle parti sociali in vista e in funzione della distinzione che l’art. 18 pone, ai commi 4 e 5, tra le due forme di tutela.
Inoltre, perché quella tipizzazione non è realizzata secondo un criterio idoneo a dare ragione del fatto per cui solo alcuni illeciti disciplinari, e non altri, meritino la tutela reintegratoria: quella tipizzazione, cioè, non ha un nesso eziologico e valoriale rispetto alla funzione di discrimine che viene ad essa attribuita.
Con la conseguenza, irragionevole, di far ricadere sui lavoratori le lacune e la approssimazione della disciplina contrattuale collettiva.
Il decreto semplificazioni in Gazzetta Ufficiale
da adminÈ stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 129 del 31 maggio 2021 il testo del d.l. n. 77/2021 riguardante la Governance del Piano nazionale di rilancio e resilienza e le prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure.
Il decreto, in particolare, interviene in materia di subappalto prevedendo:
• fino al 31 ottobre 2021, in deroga alle norme in vigore che prevedono un limite del 30 per cento, il subappalto non può superare la quota del 50 per cento dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture.
Sono comunque vietate l’integrale cessione del contratto di appalto e l’affidamento a terzi della integrale esecuzione delle prestazioni o lavorazioni che ne sono oggetto, così come l’esecuzione prevalente delle lavorazioni ad alta intensità di manodopera.
Infine, il subappaltatore deve garantire gli stessi standard qualitativi e prestazionali previsti nel contratto di appalto e riconoscere ai lavoratori un trattamento economico e normativo non inferiore a quello che avrebbe garantito il contraente principale, inclusa l’applicazione degli stessi contratti collettivi nazionali di lavoro;
• dal 1° novembre 2021, viene rimosso ogni limite quantitativo al subappalto, ma le stazioni appaltanti indicheranno nei documenti di gara le prestazioni o lavorazioni che devono essere eseguite obbligatoriamente a cura dell’aggiudicatario in ragione della loro specificità.
Inoltre, le stesse dovranno indicare le opere per le quali è necessario rafforzare il controllo delle attività di cantiere e dei luoghi di lavoro e garantire una più intensa tutela delle condizioni di lavoro e della salute e sicurezza dei lavoratori e prevenire il rischio di infiltrazioni criminali, a meno che i subappaltatori siano iscritti nelle white list o nell’anagrafe antimafia;
• il contraente principale e il subappaltatore sono responsabili in solido nei confronti della stazione appaltante.
Licenziamento collettivo e intenzione di licenziare ex art 7 l. n. 604/1966
da adminCon la decisione 31 maggio 2021, n. 15118 la Corte di Cassazione ha ribadito che l’avvio di molteplici procedure ex art. 7 l. n. 604/1966 non è rilevante ai fini del calcolo del numero minimo di cinque recessi che impone l’apertura della procedura di licenziamento collettivo.
In particolare, la Corte ha osservato che l’espressione “intenda licenziare” di cui all’art. 24 l. n. 223\1991 è una chiara manifestazione della volontà di recesso, pur necessariamente ancorata al fatto che i licenziamenti non possono essere intimati se non successivamente all’iter procedimentale di legge, mentre cosa ben diversa è l’espressione “deve dichiarare l’intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo” ai sensi del novellato art. 7 l. n. 604\1966, che è invece imposta al fine dì intraprendere la nuova procedura di compensazione (o conciliazione) dinanzi alla DTL, e non può quindi ritenersi di persé un licenziamento.
Deve poi osservarsi che alla luce di una corretta interpretazione dell’articolo 1, paragrafo 1, primo comma, lettera a) della Direttiva 98/59/CE del Consiglio del 20 luglio 1998 (concernente il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi), rientra nella nozione dì «licenziamento» il fatto che un datore di lavoro proceda, unilateralmente ed a svantaggio del lavoratore, ad una modifica sostanziale degli elementi essenziali del contratto dì lavoro per ragioni non inerenti alla persona del lavoratore stesso, anche su richiesta del lavoratore medesimo (Corte di Giustizia UE 11 novembre 2015 in causa C-422/14, p.tí da 50 a 54); una tale interpretazione, conforme alla citata giurisprudenza della Corte di Giustizia, comporta il superamento della precedente in merito all’art. 24 l. n.223/1991, anche alla luce del d.lgs. n.151/1997 di attuazione alla Direttiva comunitaria 26 giugno 1992, n. 56, nel senso che nel numero minimo di cinque licenziamenti, ivi considerato come sufficiente ad integrare l’ipotesi di licenziamento collettivo, non possono includersi altre differenti ipotesi risolutorie del rapporto di lavoro, ancorché riferibili all’iniziativa del datore di lavoro (Cass. n.15401\20, Cass. n. 1334\07).
Demansionamento e cessione di azienda
da adminCon ordinanza n. 13787 del 20 maggio 2021, la Corte di Cassazione ha ribadito il principio secondo cui in caso di invalidità del trasferimento di azienda accertata giudizialmente, pur permanendo di diritto l’originario rapporto subordinato del lavoratore con l’impresa cedente, si ha l’instaurazione, in via di fatto, di un nuovo e diverso rapporto con il soggetto già e non più cessionario, alle cui dipendenze il lavoratore abbia materialmente continuato a lavorare, dal quale derivano effetti giuridici ed, in particolare, la nascita di obblighi in capo al soggetto che concretamente ha utilizzato la prestazione lavorativa nell’ambito della propria organizzazione imprenditoriale, tra cui l’esclusiva responsabilità per l’eventuale adibizione del lavoratore ceduto a mansioni inferiori.
Obbligo di vaccinazione per il personale sanitario: la legge di conversione del d.l. n. 44/2021
da adminÈ stata pubblicata, sulla Gazzetta Ufficiale n. 128 del 31 maggio 2021, la legge n. 76 del 28 maggio 2021, di conversione, con modificazioni, del d.l. n. 44/2021, recante misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici.
Si segnala in particolare quanto previsto dall’art. 4 del decreto che conferma l’obbligo di sottoporsi a vaccinazione per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario.