Cass. civ. sez. lav., ord. 20 giugno 2024, n. 17004
La Corte di Appello aveva affermato la legittimità di un licenziamento per giusta causa, intimato dopo che controlli effettuati tramite agenzia investigativa avevano fatto emergere lo svolgimento, da parte del dipendente, di una diversa attività lavorativa in costanza di orario di lavoro, affermando la liceità del ricorso a tale forma di controllo al fine di verificare il corretto adempimento delle prestazioni lavorative cui il dipendente era tenuto.
La Cassazione ha censurato l’affermazione della Corte di Appello, che risulta contraria ai principi consolidati in materia di controlli difensivi tramite agenzie investigative: solo il datore, personalmente o tramite la propria organizzazione gerarchica nota ai dipendenti, e anche occultamente, può verificare l’adempimento o inadempimento dell’obbligazione di lavoro, vigilando sull’attività lavorativa; il controllo da parte di terzi, che siano guardie giurate o agenzie investigative, può riguardare soltanto eventuali illeciti del lavoratore, anche solo sospettati, esorbitanti dal mero inadempimento degli obblighi contrattuali, mentre è preclusa ai terzi la vigilanza sull’attività lavorativa.
Pertanto, la Corte ha cassato con rinvio in Appello affinché il giudice del rinvio verifichi se il controllo investigativo sconfinasse nella vigilanza dell’attività lavorativa o fosse correttamente finalizzato all’accertamento di illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione contrattuale.
Corte costituzionale: la disciplina dell’impresa familiare si applica anche al convivente di fatto
da Admin2L’art. 230-bis del codice civile prevede che, salvo che sia configurabile un diverso rapporto, i familiari che prestano continuativamente attività di lavoro nell’impresa familiare hanno diritto al mantenimento e alla partecipazione agli utili, ai beni acquistati e agli incrementi dell’azienda, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato, nonché alla partecipazione alle decisioni inerenti all’impresa.
Con la sentenza in oggetto la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tale articolo nella parte in cui esclude dal novero dei familiari considerati dalla disposizione il convivente di fatto e, consequenzialmente, l’illegittimità dell’art. 230-ter del codice civile, introdotto dalla l. n. 76/2016, che, per i conviventi di fatto, introduceva una tutela ridotta in quanto priva del diritto al mantenimento e alla partecipazione alla gestione dell’impresa.
Secondo la Corte costituzionale, infatti, in materia di diritti fondamentali quali quelli al lavoro e alla retribuzione non sono tollerabili differenze di trattamento con la famiglia fondata sul matrimonio e devono quindi essere garantiti al convivente di fatto gli stessi diritti del coniuge.
Anche il giorno di non lavoro dopo lo «smonto notte» è riposo compensativo
da Admin2Cass., sez. lav., 11 luglio 2024, n. 19088
Un’azienda sanitaria ricorreva in Cassazione contro la sentenza che l’aveva condannata a pagare ad una lavoratrice la maggiorazione per lavoro su turni, prevista dal contratto collettivo, anche per il giorno non lavorato successivo al turno notturno di 12 ore consecutive (c.d. «smonto notte»).
La Cassazione, confermando le sentenze di merito, ha affermato che è da qualificare come riposo compensativo, per cui è comunque dovuta la maggiorazione per il lavoro su turni, non soltanto quello per l’avvenuto superamento dell’orario di lavoro settimanale, ma anche il giorno di non lavoro programmato per consentire il recupero del lavoratore in seguito alla prestazione particolarmente gravosa, resa in un turno di durata doppia e in periodo notturno, quale quella dello «smonto notte».
Ciò considerato, la Corte ha ritenuto che alla luce del contratto collettivo applicato al rapporto la maggiorazione per il lavoro su turni doveva essere corrisposta anche per i giorni non lavorati, successivi al turno notturno prolungato.
Ancora sulla limitazione del licenziamento collettivo ad una sola unità produttiva
da Admin2Cass. civ., sez. lav., ord. 3 luglio 2024, n. 18215
Una società ricorreva per Cassazione contro le pronunce di merito che avevano dichiarato illegittimo un licenziamento intimato all’esito di una procedura di licenziamento collettivo, avendo la società omesso nella comunicazione di avvio della procedura di esporre le ragioni per cui il licenziamento collettivo era limitato ad una sola sede e per cui i lavoratori ivi addetti non svolgessero mansioni fungibili con quelle dei lavoratori di altri siti. Il ricorso è stato ritenuto infondato in quanto secondo la costante giurisprudenza della Corte tali informazioni sono necessarie al fine di rendere legittima la limitazione della platea della riduzione di personale a specifici reparti, settori o sedi.
La società, col secondo motivo di ricorso, affermava altresì che il successivo accordo sindacale sottoscritto in seno alla procedura avrebbe sanato gli eventuali vizi delle comunicazioni. Ma anche tale tesi è stata smentita dalla Cassazione secondo cui tale efficacia sanante non è effetto automatico, ma solo eventuale, della sottoscrizione dell’accordo, che si produce solo quando, interpretando il testo negoziale, emerga che le parti abbiano inteso sanare i vizi della comunicazione, circostanza esclusa nel caso di specie. Peraltro, chiosa la Corte, nel caso specie il vizio della comunicazione non aveva carattere formale, e quindi sanabile, ma attendeva ad un presupposto sostanziale della limitazione della platea dei lavoratori interessati in deroga alla legge.
Sul discrimine fra controlli «difensivi» leciti e non consentiti
da Admin2Cass. civ. sez. lav., ord. 20 giugno 2024, n. 17004
La Corte di Appello aveva affermato la legittimità di un licenziamento per giusta causa, intimato dopo che controlli effettuati tramite agenzia investigativa avevano fatto emergere lo svolgimento, da parte del dipendente, di una diversa attività lavorativa in costanza di orario di lavoro, affermando la liceità del ricorso a tale forma di controllo al fine di verificare il corretto adempimento delle prestazioni lavorative cui il dipendente era tenuto.
La Cassazione ha censurato l’affermazione della Corte di Appello, che risulta contraria ai principi consolidati in materia di controlli difensivi tramite agenzie investigative: solo il datore, personalmente o tramite la propria organizzazione gerarchica nota ai dipendenti, e anche occultamente, può verificare l’adempimento o inadempimento dell’obbligazione di lavoro, vigilando sull’attività lavorativa; il controllo da parte di terzi, che siano guardie giurate o agenzie investigative, può riguardare soltanto eventuali illeciti del lavoratore, anche solo sospettati, esorbitanti dal mero inadempimento degli obblighi contrattuali, mentre è preclusa ai terzi la vigilanza sull’attività lavorativa.
Pertanto, la Corte ha cassato con rinvio in Appello affinché il giudice del rinvio verifichi se il controllo investigativo sconfinasse nella vigilanza dell’attività lavorativa o fosse correttamente finalizzato all’accertamento di illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione contrattuale.
CGUE: il licenziamento collettivo comunicato dal datore di lavoro che va in pensione
da Admin2Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza 11 luglio 2024, C-196/23 [Plamaro]
La Corte di Giustizia è stata chiamata a decidere della conformità con la direttiva 98/59/CE, in tema di licenziamenti collettivi, della previsione di legge nazionale – gli artt. 49 e 51 dell’Estatuto de los Trabajadores spagnolo, che non prevede l’esperimento della procedura di informazione e consultazione sindacale nel caso di cessazioni di rapporti di lavoro, in numero superiore alle soglie quantitative previste dalla direttiva, dovute al pensionamento del datore di lavoro persona fisica.
Non accogliendo le argomentazioni secondo cui il datore di lavoro persona fisica dovrebbe poter andare legittimamente in pensione ponendo fine ai contratti di lavoro che ha concluso, evento che peraltro renderebbe inevitabili i licenziamenti e quindi inutile la procedura di licenziamento collettivo, la Corte ha ricordato che la nozione di licenziamento ai sensi della direttiva sui licenziamenti collettivi non può essere interpretata restrittivamente e deve ricomprendere ogni cessazione del contratto di lavoro non voluta dal lavoratore. Inoltre, la situazione del pensionamento del datore di lavoro (quale persona fisica) non è equiparabile a quella del suo decesso, nella quale effettivamente le procedure previste dalla direttiva non potrebbero essere utilmente realizzate.
La Corte, rispondendo ad un secondo quesito, ha altresì chiarito che le disposizioni della direttiva non hanno effetto orizzontale e, pertanto, non impongono al giudice nazionale di disapplicare le norme di diritto nazionale contrastanti con la stessa.
È idonea l’impugnazione di licenziamento contenuta in file word inoltrato al datore via PEC
da Admin2Cass. civ., sez. lav., ord, 8 luglio 2024, n. 18529
La Corte di Appello aveva affermato la decadenza del lavoratore ricorrente dall’impugnazione del licenziamento in quanto il suo difensore aveva fatto pervenire al datore l’impugnativa stragiudiziale tramite messaggio PEC al quale era allegato un file word nel quale era contenuta la contestazione del licenziamento, priva delle sottoscrizioni del ricorrente e del difensore; secondo i giudici, l’impugnativa inviata come documento informatico avrebbe dovuto rispettare la disciplina dell’art. 22 del d.lgs. n. 82/2005 e, in particolare, essere inoltrata come copia informatica di un documento formato analogicamente. La Cassazione ha censurato il formalismo di tale soluzione.
Secondo l’art. 6 della legge n. 604/1966, infatti, l’impugnazione del licenziamento può avvenire «con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore». Secondo costante giurisprudenza, tale atto scritto può anche provenire dal difensore del lavoratore ed è sufficiente, a prescindere da ogni requisito formale, che sia idoneo ad esprimere la volontà del lavoratore di impugnare il licenziamento. La Cassazione, inoltre, ricorda che è stata ritenuta idonea ad impugnare il licenziamento anche la mail semplice priva di sottoscrizione.