Il Garante per la protezione dei dati personali, con segnalazione inviata al Parlamento e al Governo sulla possibilità introdotta dalla l. n. 165/2021, di conversione del d.l. 127/2021, di consegna, da parte dei lavoratori dei settori pubblico e privato, di copia della certificazione verde, al datore di lavoro, con la conseguente esenzione, dai controlli, per tutta la durata della validità del certificato, ha osservato che tale previsione rischia di determinare la sostanziale elusione delle finalità di sanità pubblica complessivamente sottese al sistema del “Green Pass”.
L’assenza di verifiche durante il periodo di validità del certificato non consentirebbe, infatti, di rilevare l’eventuale condizione di positività sopravvenuta in capo all’intestatario del certificato, in contrasto, peraltro, con il principio di esattezza cui deve informarsi il trattamento dei dati personali (art. 5, par.1, lett. d) Reg. Ue 2016/679).
La dinamicità e potenziale variabilità della condizione sanitaria del soggetto è, dunque, difficilmente “cristallizzabile” in una presunzione di validità della certificazione, insensibile a ogni eventuale circostanza sopravvenuta ed esige, di contro, un costante aggiornamento con corrispondenti verifiche.
Ad avviso del Garante la previsione introdotta dalla l. n. 165/2021, nella misura in cui rischia di precludere la piena realizzazione delle esigenze sanitarie sottese al sistema del Green Pass, rende anche il trattamento dei relativi dati non del tutto proporzionato (perché non pienamente funzionale rispetto) alle finalità perseguite.
La prevista legittimazione della conservazione (di copia) delle certificazioni verdi contrasta inoltre con il Considerando 48 del Regolamento (UE) 2021/953 il quale, nel sancire un quadro di garanzie omogenee, anche sotto il profilo della protezione dati, per l’utilizzo delle certificazioni verdi in ambito europeo, dispone che “Laddove il certificato venga utilizzato per scopi non medici, i dati personali ai quali viene effettuato l’accesso durante il processo di verifica non devono essere conservati, secondo le disposizioni del presente regolamento”.
Una scelta quale quella sulla vaccinazione – così fortemente legata alle intime convinzioni della persona – verrebbe in questo modo privata delle necessarie garanzie di riservatezza, con effetti potenzialmente pregiudizievoli in ordine all’autodeterminazione individuale (in ordine all’esigenza di evitare possibili discriminazioni in ragione della scelta vaccinale, cfr. anche risoluzione 2361 (2021) del Consiglio d’Europa).
Tale potenziale pregiudizio è, poi, aggravato dal contesto lavorativo in cui maturerebbe. La prevista ostensione (e consegna) del certificato verde a un soggetto, quale il datore di lavoro, al quale dovrebbe essere preclusa la conoscenza di condizioni soggettive peculiari dei lavoratori come la situazione clinica e convinzioni personali, pare infatti poco compatibile con le garanzie sancite sia dalla disciplina di protezione dati, sia dalla normativa giuslavoristica (artt. 88 Reg. Ue 2016/679; 113 d.lgs. 196 del 2003; 5 e 8 l. n. 300 del 1970; 10 d.lgs. n. 276 del 2003).
In tale prospettiva, il Garante ha apprezzato la previsione dell’esplicito divieto di conservazione del codice a barre bidimensionale (QR code) delle Certificazioni verdi Covid-19 sottoposte a verifica, nonché di trattamento (nelle forme più varie), per finalità ulteriori, delle informazioni rilevate dalla lettura dei codici e all’esito dei controlli.
Concludendo il Garante per la protezione dei dati personali ha affermato che la prevista facoltà di conservazione del Green Pass non può del resto ritenersi legittima sulla base di un presunto consenso implicito del lavoratore che la consegni, ritenendo il diritto sottesovi pienamente disponibile.
Dal punto di vista della protezione dei dati personali (e, dunque, ai fini della legittimità del relativo trattamento), il consenso in ambito lavorativo non può, infatti, ritenersi un idoneo presupposto di liceità, in ragione dell’asimmetria che caratterizza il rapporto lavorativo stesso (C 43 Reg. UE 2016/679).
La segnalazione del Garante Privacy sulla possibilità di consegna di copia della certificazione verde al datore di lavoro
da Admin2Il Garante per la protezione dei dati personali, con segnalazione inviata al Parlamento e al Governo sulla possibilità introdotta dalla l. n. 165/2021, di conversione del d.l. 127/2021, di consegna, da parte dei lavoratori dei settori pubblico e privato, di copia della certificazione verde, al datore di lavoro, con la conseguente esenzione, dai controlli, per tutta la durata della validità del certificato, ha osservato che tale previsione rischia di determinare la sostanziale elusione delle finalità di sanità pubblica complessivamente sottese al sistema del “Green Pass”.
L’assenza di verifiche durante il periodo di validità del certificato non consentirebbe, infatti, di rilevare l’eventuale condizione di positività sopravvenuta in capo all’intestatario del certificato, in contrasto, peraltro, con il principio di esattezza cui deve informarsi il trattamento dei dati personali (art. 5, par.1, lett. d) Reg. Ue 2016/679).
La dinamicità e potenziale variabilità della condizione sanitaria del soggetto è, dunque, difficilmente “cristallizzabile” in una presunzione di validità della certificazione, insensibile a ogni eventuale circostanza sopravvenuta ed esige, di contro, un costante aggiornamento con corrispondenti verifiche.
Ad avviso del Garante la previsione introdotta dalla l. n. 165/2021, nella misura in cui rischia di precludere la piena realizzazione delle esigenze sanitarie sottese al sistema del Green Pass, rende anche il trattamento dei relativi dati non del tutto proporzionato (perché non pienamente funzionale rispetto) alle finalità perseguite.
La prevista legittimazione della conservazione (di copia) delle certificazioni verdi contrasta inoltre con il Considerando 48 del Regolamento (UE) 2021/953 il quale, nel sancire un quadro di garanzie omogenee, anche sotto il profilo della protezione dati, per l’utilizzo delle certificazioni verdi in ambito europeo, dispone che “Laddove il certificato venga utilizzato per scopi non medici, i dati personali ai quali viene effettuato l’accesso durante il processo di verifica non devono essere conservati, secondo le disposizioni del presente regolamento”.
Una scelta quale quella sulla vaccinazione – così fortemente legata alle intime convinzioni della persona – verrebbe in questo modo privata delle necessarie garanzie di riservatezza, con effetti potenzialmente pregiudizievoli in ordine all’autodeterminazione individuale (in ordine all’esigenza di evitare possibili discriminazioni in ragione della scelta vaccinale, cfr. anche risoluzione 2361 (2021) del Consiglio d’Europa).
Tale potenziale pregiudizio è, poi, aggravato dal contesto lavorativo in cui maturerebbe. La prevista ostensione (e consegna) del certificato verde a un soggetto, quale il datore di lavoro, al quale dovrebbe essere preclusa la conoscenza di condizioni soggettive peculiari dei lavoratori come la situazione clinica e convinzioni personali, pare infatti poco compatibile con le garanzie sancite sia dalla disciplina di protezione dati, sia dalla normativa giuslavoristica (artt. 88 Reg. Ue 2016/679; 113 d.lgs. 196 del 2003; 5 e 8 l. n. 300 del 1970; 10 d.lgs. n. 276 del 2003).
In tale prospettiva, il Garante ha apprezzato la previsione dell’esplicito divieto di conservazione del codice a barre bidimensionale (QR code) delle Certificazioni verdi Covid-19 sottoposte a verifica, nonché di trattamento (nelle forme più varie), per finalità ulteriori, delle informazioni rilevate dalla lettura dei codici e all’esito dei controlli.
Concludendo il Garante per la protezione dei dati personali ha affermato che la prevista facoltà di conservazione del Green Pass non può del resto ritenersi legittima sulla base di un presunto consenso implicito del lavoratore che la consegni, ritenendo il diritto sottesovi pienamente disponibile.
Dal punto di vista della protezione dei dati personali (e, dunque, ai fini della legittimità del relativo trattamento), il consenso in ambito lavorativo non può, infatti, ritenersi un idoneo presupposto di liceità, in ragione dell’asimmetria che caratterizza il rapporto lavorativo stesso (C 43 Reg. UE 2016/679).
Ferie e cassa integrazione Covid-19
da Admin2Con la nota n. 1799 del 23 novembre 2021 l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha fornito parere favorevole in merito alla possibilità, per il datore di lavoro, di modificare in CIGO con causale Covid-19 le giornate di ferie richieste dai lavoratori “già programmate e concesse”.
Com’è noto l’art. 10 del d.lgs. n. 66/2003 stabilisce che “fermo restando quanto previsto dall’art. 2109 c.c., il prestatore di lavoro ha diritto ad un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane. Tale periodo, salvo quanto previsto dalla contrattazione collettiva (…) va goduto per almeno due settimane consecutive, in caso di richiesta del lavoratore nel corso dell’anno di maturazione e per le restanti due settimane, nei diciotto mesi successivi al termine dell’anno di maturazione”.
In forza del citato art. 2109 c.c. si evince il riconoscimento in capo al datore di lavoro, nell’ambito dei poteri di organizzazione dell’attività imprenditoriale, di una facoltà di determinare la collocazione temporale delle ferie, nonché in alcune ipotesi di modificarla.
Sempreché sia rispettato il dovere di comunicazione preventiva al lavoratore del periodo feriale, eventuali deroghe alla fruizione del diritto costituzionalmente garantito ex art. 36, comma 3 Cost., risultano ammissibili esclusivamente laddove le esigenze aziendali assumano carattere di eccezionalità ed imprevedibilità e come tali siano supportate da adeguata motivazione.
L’Ispettorato ha ricordato che costituiscono ipotesi oggettive derogatorie all’ordinaria modalità di fruizione delle ferie, tra gli altri, gli interventi a sostegno del reddito ordinari e straordinari, in cui si assiste ad una “sospensione totale o parziale delle obbligazioni principali scaturenti dal rapporto medesimo, ossia l’espletamento dell’attività lavorativa e la corresponsione della retribuzione”.
Mobbing, danno biologico e personalità della vittima
da Admin2Con la sentenza n. 35061 del 17 novembre 2021 la Corte di Cassazione ha affermato che non interrompe il nesso causale tra mobbing e danno biologico la personalità particolarmente fragile della vittima.
La Corte, in particolare, ha ribadito che in caso di concorso tra causalità umana e concausa naturale il responsabile dell’illecito risponde per l’intero; infatti una comparazione del grado di incidenza eziologica di più cause concorrenti può instaurarsi soltanto tra una pluralità di comportamenti umani colpevoli.
Nell’ipotesi in cui la persona danneggiata sia, per la propria condizione soggettiva, più vulnerabile di altri soggetti della stessa età e sesso, tale circostanza non incide né sul nesso di causa, né sull’attribuzione della colpa e nemmeno sulla liquidazione del danno (Cfr. Cass. n.13864/2020; Cass. n.15762/2019; Cass. n.1575/2010).
Pertanto, il rapporto eziologico tra il comportamento di mobbing e la lesione del diritto alla salute sussiste anche quando detta condotta costituisca solo una concausa ed abbia operato su di un substrato psicologico preesistente.
Unico centro di imputazione datoriale e licenziamento collettivo
da Admin2Con ordinanza n. 32474 dell’8 novembre 2021 la Corte di Cassazione ha affermato che in presenza di un unico centro di imputazione datoriale, la procedura collettiva di licenziamento deve riguardare i lavoratori di tutte le aziende coinvolte.
Gli Ermellini, in particolare, hanno ricordato che l’esistenza di un unico centro di imputazione è configurabile in presenza di:
a) unicità della struttura organizzativa e produttiva;
b) integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo ed il correlativo interesse comune;
c) coordinamento tecnico ed amministrativo-finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune;
d) utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società titolari delle distinte imprese, nel senso che la stessa sia svolta in modo indifferenziato e contemporaneamente in favore dei vari imprenditori.
La Corte ha precisato che l’esistenza di titoli giuridici formalmente legittimanti l’utilizzazione da parte di una società dei dipendenti di altra società oppure lo spostamento dei lavoratori da uno all’altro datore di lavoro non costituisce elemento di per sé ostativo alla configurazione di un’impresa unitaria ove ricorrano indici significativi della unicità della struttura organizzativa e produttiva, dell’integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo in vista di un interesse comune, dell’esistenza di un unico centro decisionale che coinvolga anche la gestione del personale o di parti di esso, oppure di una condizione di codatorialità tra gruppi genuini.
La scelta dei lavoratori da licenziare deve quindi essere fatta nell’ambito dell’intero complesso aziendale, a meno che la riduzione riguardi un reparto determinato, datato di specifica autonomia e formato da particolari professionalità, non fungibili rispetto a quelle di altri reparti.
La legge di conversione del decreto Green Pass
da Admin2È stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 277 del 20 novembre 2021 la legge 19 novembre 2021, n. 165, di conversione, con modificazioni del d.l. n. 127/2021, recante misure urgenti per assicurare lo svolgimento in sicurezza del lavoro pubblico e privato mediante l’estensione dell’ambito applicativo della certificazione verde Covid-19 e il rafforzamento del sistema di screening.
Si segnalano di seguito le principali novità apportate in sede di conversione.
Disposizioni urgenti sull’impiego di certificazioni verdi Covid-19 in ambito lavorativo pubblico e privato
Al fine di semplificare e razionalizzare le verifiche sul possesso del Green Pass, viene prevista la possibilità per i lavoratori di richiedere di consegnare al proprio datore di lavoro – pubblico o privato – copia della propria certificazione verde Covid-19.
I lavoratori che consegnano la predetta certificazione, per tutta la durata della relativa validità, sono esonerati dai controlli da parte dei rispettivi datori di lavoro.
Le Pubbliche Amministrazioni dovranno fornire idonea informativa ai lavoratori e alle rispettive rappresentanze circa la predisposizione delle nuove modalità organizzative adottate per la verifica del possesso del Green Pass.
Al fine di garantire il più elevato livello di copertura vaccinale e al fine di proteggere, in modo specifico, i soggetti a rischio, fino alla data di cessazione dello stato di emergenza, i datori di lavoro pubblici e privati possono promuovere campagne di informazione e sensibilizzazione sulla necessità e sull’importanza della vaccinazione anti-SARS-CoV-2. Le campagne di informazione sono dirette alla tutela della salute dei dipendenti e al contrasto e al contenimento della diffusione dell’infezione da SARS-CoV-2 negli ambienti di lavoro.
Somministrazione di lavoro
Si precisa che per i lavoratori in somministrazione la verifica del possesso del Green Pass compete all’utilizzatore.
È onere del somministratore informare i lavoratori circa la sussistenza delle prescrizioni vigenti in materia di Green Pass.
Imprese con meno di quindici dipendenti
Per le imprese con meno di quindici dipendenti, si precisa che dopo il quinto giorno di assenza ingiustificata, il datore di lavoro può sospendere il lavoratore per la durata corrispondente a quella del contratto di lavoro stipulato per la sostituzione, comunque per un periodo non superiore a dieci giorni lavorativi, rinnovabili fino al termine del 31 dicembre 2021, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del posto di lavoro per il lavoratore sospeso.
Scadenza delle certificazioni verdi Covid-19 in corso di prestazione lavorativa
Si prevede che per i lavoratori dipendenti pubblici e privati la scadenza della validità della certificazione verde Covid-19 in corso di prestazione lavorativa non dà luogo alle sanzioni previste dal decreto.
La permanenza del lavoratore sul luogo di lavoro sarà consentita esclusivamente per il tempo necessario a portare a termine il turno di lavoro.
Ammortizzatori sociali Covid-19: le indicazioni operative INPS
da Admin2Con il messaggio n. 4034 del 18 novembre 2021, l’INPS ha fornito le prime indicazioni operative in ordine agli interventi in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro previsti dal d.l. n. 146/2021.
Il d.l. n. 146/2021, all’articolo 11, comma 1, ha introdotto un ulteriore periodo massimo di 13 settimane di trattamenti di Assegno ordinario (ASO) e Cassa integrazione guadagni in deroga (CIGD) che può essere richiesto dai datori di lavoro che sono costretti a interrompere o ridurre l’attività produttiva per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da Covid-19, nel periodo tra il 1° ottobre 2021 e il 31 dicembre 2021.
Per richiedere il nuovo periodo di trattamenti previsto dal “decreto Fiscale”, i datori di lavoro devono essere stati interamente autorizzati alle precedenti 28 settimane di trattamenti introdotte dall’articolo 8, comma 2, del d.l. n. 41/2021, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 69/2021 (c.d. decreto Sostegni).
L’accesso al nuovo periodo di ASO e CIGD di tipo emergenziale potrà essere riconosciuto solamente una volta decorso il periodo precedentemente autorizzato.
Laddove, quindi, non siano state richieste e autorizzate tutte le 28 settimane di trattamenti disciplinate dal menzionato “decreto Sostegni”, non sarà possibile per i datori di lavoro di accedere al nuovo periodo di trattamenti emergenziali.
Per richiedere l’ulteriore periodo massimo di 13 settimane di assegno ordinario e di integrazione salariale in deroga, i datori di lavoro dovranno trasmettere domanda di concessione dei trattamenti con la nuova causale, denominata “COVID 19 – DL 146/21”.
La circolare precisa che la procedura di trasmissione delle domande è già disponibile e che le stesse possono essere inviate, a prescindere dall’avvenuto rilascio dell’autorizzazione a tutte le 28 settimane di cui al d.l. n. 41/2021 da parte delle Strutture territoriali dell’Istituto.
Il rispetto di tale ultima condizione sarà verificato in sede di istruttoria delle domande e costituirà presupposto per il riconoscimento della legittimità dei trattamenti richiesti.