Cass. civ., sez. un., 26 agosto 2025, n. 23876
Le Sezioni unite si sono pronunciate in materia di obbligo restitutivo dell’indennità di disoccupazione in caso di conversione, con efficacia retroattiva, del rapporto a termine in rapporto a tempo determinato, risolvendo così un latente contrasto giurisprudenziale. Confermando la decisione di appello, nelle motivazioni le Sezioni unite valorizzano soprattutto il dettato costituzionale e il suo sostanziarsi nella legislazione ordinaria di tutela contro la disoccupazione, in particolare la garanzia alla somministrazione di mezzi adeguati alle esigenze di vita del lavoratore prevista dall’art. 38 Cost., che si riflette nel sostegno al reddito che, attraverso l’indennità di disoccupazione, viene riconosciuto al lavoratore. Per quanto riguarda il caso di specie, le Sezioni unite ribadiscono la netta distinzione tra il rapporto previdenziale, entro cui si colloca la tutela contro la disoccupazione, e quello di lavoro. Se quest’ultimo, come appunto nel caso di specie, deve ritenersi mai estinto per effetto di una conversione ex tunc del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato, nondimeno la prestazione di disoccupazione erogata al lavoratore non può venire meno, in quanto condizionata a una situazione di fatto – la situazione di bisogno dovuta alla mancanza di lavoro e retribuzione – che la conversione giudiziale del rapporto non può travolgere nella sua realtà fenomenica ed effettività. Infine la Corte precisa che l’indennità nella misura di 12 mensilità prevista dall’art. 32, l.n. 183 del 2010, riconosciuta al lavoratore al momento della pronuncia che ha dichiarato la conversione del rapporto, ha natura risarcitoria e non previdenziale. Tale indennità è volta infatti a forfettizzare il risarcimento del danno dovuto al lavoratore a fronte dell’illegittima apposizione del termine, integrando più in generale la tutela del lavoratore precario: attiene quindi al rapporto di lavoro e non a quello previdenziale, perciò il suo riconoscimento non può impedire la fruizione dell’indennità di disoccupazione.
Illegittimi i controlli sull’e-mail personale del lavoratore, sebbene inserita sul server aziendale
da Admin2Cass. civ., sez. lav., 29 agosto 2025, n. 24204
La Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi, dichiarandone l’illegittimità, sul controllo da parte datoriale delle comunicazioni di posta elettronica dei lavoratori estratte da account privati, seppur confluiti sul server aziendale. La controversia de qua trae origine da un’azione risarcitoria intentata dal datore di lavoro per danni da concorrenza sleale contro un gruppo di dipendenti dimessisi. Sulla corrispondenza così raccolta dal datore il Tribunale di Milano, valorizzando proprio la conservazione degli account personali sul server aziendale, elemento che avrebbe dovuto far ritenere aperta e non chiusa tale corrispondenza, si è pronunciato per l’utilizzabilità. La Corte d’Appello, nel riformare la sentenza di primo grado, aveva invece escluso la possibilità di utilizzare quelle comunicazioni e, mancando altre prove, respinto le domande della società. La Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso avverso tale decisione, ha ritenuto anzitutto che la Corte d’Appello avesse correttamente applicato i principi CEDU in materia, osservando infatti che anche le e-mail personali inviate o ricevute dai o nei locali aziendali rientrano nella nozione di “vita privata” e “corrispondenza” tutelate dall’art. 8 CEDU. Ha osservato inoltre che l’ammissibilità dei controlli sussiste solo in presenza di una finalità legittima, del rispetto di un principio di proporzionalità e se gli stessi sono preceduti da opportune informative in merito alla possibile attività di controllo. Nel caso in questione, la Suprema Corte osserva che, come già specificato nella decisione di secondo grado, i lavoratori non avevano mai autorizzato la ricezione o duplicazione della posta personale sull’applicativo aziendale e la società non aveva adottato regole interne per disciplinare eventuali controlli, con conseguente inutilizzabilità delle prove raccolte.
Anche il familiare che assiste il disabile ha diritto agli accomodamenti ragionevoli
da Admin2CGUE, 11 settembre 2025, C-38/24
La Corte di Giustizia UE si è pronunciata sulle questioni pregiudiziali provenienti da un giudizio promosso da una lavoratrice che aveva chiesto ripetutamente al proprio datore di lavoro di essere assegnata ad un posto di lavoro ad orario fisso, in quanto gli orari di lavoro e a turni non le consentivano di occuparsi del figlio minore, affetto da una grave disabilità e da un’invalidità totale, che vive con lei e che deve seguire un programma di cure, con un orario fisso, il pomeriggio. La società non aveva dato seguito a tali richieste, concedendo soltanto alcuni adeguamenti delle condizioni di lavoro a titolo provvisorio.
La Corte ha anzitutto affermato che ai sensi del diritto dell’Unione in materia, in particolare la direttiva 2000/78, deve ritenersi integrata una discriminazione indiretta anche se con riguardo a un lavoratore che non sia egli stesso disabile, ma che sia oggetto di una discriminazione fondata sulla disabilità in ragione dell’assistenza che fornisce al figlio disabile volta a consentirgli di ricevere la parte essenziali delle cure necessarie. Secondo la Corte, un datore di lavoro è quindi tenuto, onde evitare l’integrazione di una discriminazione indiretta, ad adottare accomodamenti ragionevoli, ai sensi dell’articolo 5 della succitata direttiva, nei confronti del lavoratore caregiver, purché non gli impongano un onere sproporzionato.
Sindacato comparativamente più rappresentativo e costituzione della RSA
da Admin2Trib. Roma, sez. lav., decreto 14 agosto 2025
Il Tribunale ha accolto il ricorso per condotta antisindacale ex art. 28 Stat. Lav. proposto dalla FLC Cgil per contestare il negato riconoscimento della RSA, motivato dal fatto che il sindacato non fosse firmatario del nuovo CCNL applicato dalla resistente. Il giudice, nel motivare la decisione di ordinare alla società resistente di riconoscere la RSA costituita dalla FLC Cgil, ha offerto un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 19 legge 300/1970, alla luce della quale deve equipararsi al dissenso espresso da una organizzazione rappresentativa all’interno di una trattativa alla quale è stata ammessa anche il suo presupposto fondamentale, ossia il diritto a partecipare alla stessa. L’avvio di un negoziato con un sindacato minoritario, operato attraverso la deliberata esclusione da parte della società resistente di un’organizzazione sindacale comparativamente più rappresentativa, sia dalla trattativa, sia dal diritto di nominare una RSA, ha favorito di fatto una organizzazione sindacale minoritaria, costituendo una manifesta violazione dell’art. 19 legge 300/1970, letto in forma costituzionalmente orientata con l’art. 39 Cost.
Indennità di disoccupazione e conversione ex tunc di contratti a termine
da Admin2Cass. civ., sez. un., 26 agosto 2025, n. 23876
Le Sezioni unite si sono pronunciate in materia di obbligo restitutivo dell’indennità di disoccupazione in caso di conversione, con efficacia retroattiva, del rapporto a termine in rapporto a tempo determinato, risolvendo così un latente contrasto giurisprudenziale. Confermando la decisione di appello, nelle motivazioni le Sezioni unite valorizzano soprattutto il dettato costituzionale e il suo sostanziarsi nella legislazione ordinaria di tutela contro la disoccupazione, in particolare la garanzia alla somministrazione di mezzi adeguati alle esigenze di vita del lavoratore prevista dall’art. 38 Cost., che si riflette nel sostegno al reddito che, attraverso l’indennità di disoccupazione, viene riconosciuto al lavoratore. Per quanto riguarda il caso di specie, le Sezioni unite ribadiscono la netta distinzione tra il rapporto previdenziale, entro cui si colloca la tutela contro la disoccupazione, e quello di lavoro. Se quest’ultimo, come appunto nel caso di specie, deve ritenersi mai estinto per effetto di una conversione ex tunc del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato, nondimeno la prestazione di disoccupazione erogata al lavoratore non può venire meno, in quanto condizionata a una situazione di fatto – la situazione di bisogno dovuta alla mancanza di lavoro e retribuzione – che la conversione giudiziale del rapporto non può travolgere nella sua realtà fenomenica ed effettività. Infine la Corte precisa che l’indennità nella misura di 12 mensilità prevista dall’art. 32, l.n. 183 del 2010, riconosciuta al lavoratore al momento della pronuncia che ha dichiarato la conversione del rapporto, ha natura risarcitoria e non previdenziale. Tale indennità è volta infatti a forfettizzare il risarcimento del danno dovuto al lavoratore a fronte dell’illegittima apposizione del termine, integrando più in generale la tutela del lavoratore precario: attiene quindi al rapporto di lavoro e non a quello previdenziale, perciò il suo riconoscimento non può impedire la fruizione dell’indennità di disoccupazione.
Approvato in via definitiva il disegno di legge delega in tema di “salario minimo”
da Admin2Nella seduta del 23 settembre il Senato ha approvato in via definitiva il ddl 957 recante deleghe al Governo in materia di retribuzione dei lavoratori e di contrattazione collettiva nonché di procedure di controllo e informazione.
Archiviata l’originale proposta di legge volta a introdurre un salario minimo legale, il testo approvato si limita a delegare il Governo, al fine di garantire l’attuazione del diritto dei lavoratori ad una retribuzione proporzionata e sufficiente, rafforzando la contrattazione collettiva e stabilendo criteri che riconoscano l’applicazione dei trattamenti economici complessivi minimi previsti dai contratti collettivi nazionali di lavoro maggiormente applicati, ad adottare entro sei mesi, uno o più decreti legislativi per assicurare ai lavoratori trattamenti retributivi giusti ed equi, contrastare il lavoro sottopagato, stimolare il rinnovo dei contratti collettivi nazionali di lavoro nel rispetto dei tempi stabiliti dalle parti sociali e nell’interesse dei lavoratori e per contrastare il c.d. dumping contrattuale.
Inoltre, allo scopo di incrementare la trasparenza in materia di dinamiche salariali e contrattuali nonché di contrastare efficacemente il dumping contrattuale, i fenomeni di concorrenza sleale, l’evasione fiscale e contributiva e il ricorso a forme di lavoro sommerso o irregolare in danno dei lavoratori, il Governo è delegato ad adottare entro sei mesi uno o più decreti legislativi recanti disposizioni in materia di perfezionamento della disciplina dei controlli e sviluppo di procedure di informazione pubbliche e trasparenti concernenti la retribuzione dei lavoratori e la contrattazione collettiva.
Legge sull’intelligenza artificiale: alcune disposizioni anche in materia di lavoro
da Admin2Legge 23 settembre 2025, n. 132
Dal 10 ottobre entrerà in vigore la l. 23 settembre 2025, n. 132 recante disposizioni e deleghe al Governo in materia di intelligenza artificiale. Per quanto riguarda la materia lavoristica, vengono in rilievo tre disposizioni. L’art. 11, ribadendo le funzioni, i caratteri di sicurezza, affidabilità e trasparenza dell’uso dell’IA sul lavoro, nonché i limiti della riservatezza e più in generale dei diritti inviolabili del lavoratore, ribadisce i diritti di informazione diretta del lavoratore già introdotti con il decreto trasparenza del 2022 (d.lgs. n. 104/2022, che aveva riformato il quadro normativo in materia di obblighi informativi nel rapporto di lavoro, già disciplinati dal d.lgs. n. 152/1997). L’art. 12 istituisce invece un Osservatorio sull’adozione di sistemi di intelligenza artificiale nel mondo del lavoro presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e l’art. 13, infine, contiene alcune disposizioni relative all’utilizzo dell’intelligenza artificiale nelle professioni intellettuali.