Il decreto interministeriale del 13 aprile 2015 è stato firmato dal Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministro dell’Economia e ora si attende la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Il provvedimento ministeriale disciplina le modalità di riconoscimento di quanto previsto dall’art. 1, comma 284, l. n. 208/2015 (Legge di Stabilità 2016), disposizione che attribuisce la facoltà di trasformazione del rapporto di lavoro da full-time a part-time in prossimità dell’età pensionabile.
Per i lavoratori dipendenti del settore privato, che hanno in corso un rapporto di lavoro a tempo pieno ed indeterminato, che maturano entro il 31 dicembre 2018 il requisito anagrafico per il conseguimento del diritto al trattamento pensionistico di vecchiaia e che siano in possesso dei requisiti minimi di contribuzione per il diritto al predetto trattamento pensionistico di vecchiaia, è prevista la possibilità, in accordo con il datore di lavoro, di trasformare il rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale con riduzione dell’orario di lavoro in misura compresa tra il 40 ed il 60%.
Il datore di lavoro corrisponderà mensilmente una somma pari alla contribuzione previdenziale ai fini pensionistici relativa alla prestazione lavorativa non effettuata e al lavoratore sarà riconosciuta la contribuzione figurativa commisurata alla retribuzione corrispondente alla prestazione lavorativa non effettuata in ragione del contratto di lavoro a tempo parziale agevolato.
Per l’accesso al beneficio il lavoratore interessato deve richiedere all’INPS la certificazione che attesta il possesso del requisito contributivo e la maturazione di quello anagrafico entro il 31 dicembre 2018.
Il lavoratore ed il datore di lavoro devono, poi, sottoscrivere un contratto di riduzione dell’orario di lavoro denominato “contratto di lavoro a tempo parziale agevolato” di durata pari al periodo intercorrente tra la data di accesso al beneficio e la data di maturazione, da parte del lavoratore, del requisito anagrafico per il diritto alla pensione di vecchiaia. Il contratto viene trasmesso dal datore di lavoro alla Direzione territoriale del lavoro competente che, entro i 5 giorni lavorativi successivi, rilascia il provvedimento di accesso al beneficio.
Acquisito il provvedimento o trascorsi inutilmente i suddetti 5 giorni lavorativi, il datore di lavoro trasmette istanza telematica all’INPS che, dopo aver appurato la sussistenza dei requisiti del lavoratore e la disponibilità delle risorse finanziarie, entro i 5 giorni successivi, ne comunica l’accoglimento o il rigetto.
Gli effetti del contratto decorrono dal primo giorno del periodo di paga mensile successivo a quello di accoglimento e cessano al momento della maturazione, da parte del lavoratore, del requisito anagrafico per il conseguimento del diritto alla pensione di vecchiaia.
Il godimento del beneficio è legato al rispetto dei contenuti fissati dall’accordo secondo i criteri indicati dalla legge.
Al termine del rapporto, il datore di lavoro dovrà comunicare all’Inps ed alla Direzione territoriale del lavoro la cessazione del rapporto di lavoro a tempo parziale agevolato.
La somma erogata dal datore di lavoro è omnicomprensiva e non concorre alla formazione del reddito da lavoro dipendente e non è assoggettata ad alcuna forma di contribuzione previdenziale, inclusa quella relativa all’assicurazione INAIL.
Ammortizzatori sociali in deroga
0 Commenti-da adminCircolare INPS del 29 marzo 2016 n. 56 – ammortizzatori sociali in deroga
Nella circolare n. 56/2016, l’Ente previdenziale fornisce una disamina della normativa intervenuta in materia per gli ammortizzatori sociali in deroga, e, in particolare, in relazione al decreto n. 83473 del 1 agosto 2014 emesso dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, con cui sono stati disciplinati i criteri di concessione degli ammortizzatori sociali in deroga, al d.lgs. 14 settembre 2015, n. 148, con cui si sono disciplinati gli ammortizzatori sociali non in deroga e alla legge n. 208 del 28 dicembre 2015 (legge di stabilità 2016), con cui si sono introdotte alcune novità rispetto alla normativa precedente.
Il part-time per i lavoratori prossimi alla pensione
0 Commenti-da adminIl decreto interministeriale del 13 aprile 2015 è stato firmato dal Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministro dell’Economia e ora si attende la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Il provvedimento ministeriale disciplina le modalità di riconoscimento di quanto previsto dall’art. 1, comma 284, l. n. 208/2015 (Legge di Stabilità 2016), disposizione che attribuisce la facoltà di trasformazione del rapporto di lavoro da full-time a part-time in prossimità dell’età pensionabile.
Per i lavoratori dipendenti del settore privato, che hanno in corso un rapporto di lavoro a tempo pieno ed indeterminato, che maturano entro il 31 dicembre 2018 il requisito anagrafico per il conseguimento del diritto al trattamento pensionistico di vecchiaia e che siano in possesso dei requisiti minimi di contribuzione per il diritto al predetto trattamento pensionistico di vecchiaia, è prevista la possibilità, in accordo con il datore di lavoro, di trasformare il rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale con riduzione dell’orario di lavoro in misura compresa tra il 40 ed il 60%.
Il datore di lavoro corrisponderà mensilmente una somma pari alla contribuzione previdenziale ai fini pensionistici relativa alla prestazione lavorativa non effettuata e al lavoratore sarà riconosciuta la contribuzione figurativa commisurata alla retribuzione corrispondente alla prestazione lavorativa non effettuata in ragione del contratto di lavoro a tempo parziale agevolato.
Per l’accesso al beneficio il lavoratore interessato deve richiedere all’INPS la certificazione che attesta il possesso del requisito contributivo e la maturazione di quello anagrafico entro il 31 dicembre 2018.
Il lavoratore ed il datore di lavoro devono, poi, sottoscrivere un contratto di riduzione dell’orario di lavoro denominato “contratto di lavoro a tempo parziale agevolato” di durata pari al periodo intercorrente tra la data di accesso al beneficio e la data di maturazione, da parte del lavoratore, del requisito anagrafico per il diritto alla pensione di vecchiaia. Il contratto viene trasmesso dal datore di lavoro alla Direzione territoriale del lavoro competente che, entro i 5 giorni lavorativi successivi, rilascia il provvedimento di accesso al beneficio.
Acquisito il provvedimento o trascorsi inutilmente i suddetti 5 giorni lavorativi, il datore di lavoro trasmette istanza telematica all’INPS che, dopo aver appurato la sussistenza dei requisiti del lavoratore e la disponibilità delle risorse finanziarie, entro i 5 giorni successivi, ne comunica l’accoglimento o il rigetto.
Gli effetti del contratto decorrono dal primo giorno del periodo di paga mensile successivo a quello di accoglimento e cessano al momento della maturazione, da parte del lavoratore, del requisito anagrafico per il conseguimento del diritto alla pensione di vecchiaia.
Il godimento del beneficio è legato al rispetto dei contenuti fissati dall’accordo secondo i criteri indicati dalla legge.
Al termine del rapporto, il datore di lavoro dovrà comunicare all’Inps ed alla Direzione territoriale del lavoro la cessazione del rapporto di lavoro a tempo parziale agevolato.
La somma erogata dal datore di lavoro è omnicomprensiva e non concorre alla formazione del reddito da lavoro dipendente e non è assoggettata ad alcuna forma di contribuzione previdenziale, inclusa quella relativa all’assicurazione INAIL.
Licenziamento disciplinare e insubordinazione
0 Commenti-da adminCon sentenza dell’11 febbraio 2015, n. 2692 i giudici della Suprema Corte si sono pronunciati in tema di licenziamento disciplinare: nel caso di specie il lavoratore era stato licenziato in tronco dalla società datrice di lavoro “per atti di grave insubordinazione (art. 10, lett. a, c.c.n.l. di categoria), consistiti nell’essersi rivolto ad un diretto superiore, che l’aveva invitato a collaborare per una serenità lavorativa nel reparto, con voce alterata e con parole offensive e volgari”.
I giudici della Cassazione hanno affermato che “Non è affetto da alcun errore di diritto il giudizio che riconduce all’insubordinazione lieve l’uso, contro il diretto superiore, di parole offensive e volgari da parte di un lavoratore che si ritenga vittima di una maliziosa delazione, senza contestare i poteri dello stesso superiore e senza rifiutare la prestazione lavorativa”.
Peraltro nel caso di specie il contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro parifica all’insubordinazione grave, giustificativa del licenziamento, gravi reati accertati in sede penale quali il furto e il danneggiamento.
Ciò premesso, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso promosso dalla società ritenendo “rispettosa del principio di proporzione la decisione della Corte di merito, che non ha riportato il comportamento in questione, certamente illecito, alla più grave delle sanzioni disciplinari, tale da privare dei mezzi di sostentamento il lavoratore e la sua famiglia”.
Somministrazione irregolare e termine di decadenza
0 Commenti-da adminCon sentenza dell’11 febbraio 2016, n. 2734, i giudici della Suprema Corte si sono pronunciati in tema di contratto di somministrazione irregolare affermando che in ordine ai contratti di somministrazione a tempo determinato, il termine di decadenza di cui all’art. 6 della L. n. 604 del 1966 non può farsi decorrere dalla comunicazione di scadenza del contratto che per legge non è necessaria, non rispondendo al vero che l’art. 32, comma 4, lett. d) della legge n. 183 del 2010 abbia previsto in capo all’utilizzatore della prestazione lavorativa l’onere di comunicare la scadenza del rapporto.
Ne deriva che, in mancanza, il lavoratore avrebbe diritto di impugnare sine die la somministrazione irregolare; invero tale norma si limita a prevedere l’applicabilità, anche all’ipotesi di somministrazione irregolare, dell’art. 6 della citata legge n. 604 che a sua volta non chiarisce espressamente se l’onere de quo sussiste anche riguardo a rapporti cessati in forza non di un atto di recesso, ma della scadenza del termine originariamente pattuito.
Rilevano i giudici: “(…) questa S.C. ha già avuto modo di statuire (v. Cass. n. 24233/14), l’incipit del comma 1 bis dell’art. 32 legge n. 183/10 introdotto dal cd. decreto “milleproroghe”, ove si parla di una “prima applicazione” (…), oggettivamente evoca un meccanismo di nuovo conio per il quale è stato assicurato un adeguato arco temporale affinché i lavoratori e i lori difensori potessero adeguarsi alla nuova più rigorosa disciplina, che espone il dipendente licenziato all’onere di ben due diversi termini di decadenza. Ciò non sarebbe stato necessario se tale nuovo meccanismo non fosse stato applicabile anche a contratti cessati prima dell’entrata in vigore dell’art. 32 cit.”.
Disposizioni in materia di depenalizzazione
0 Commenti-da adminSono stati pubblicati, sulla Gazzetta Ufficiale n. 17 del 22 gennaio 2016, i decreti legislativi nn. 7 e 8 in materia di abrogazione di alcuni reati (d.lgs. n. 7/2016) e di depenalizzazione (d.lgs. n. 8/2016).
Per quanto attiene il profilo giuslavoristico si segnala l’art. 3, comma 6 del d.lgs. n. 8/2016 relativo all’omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali: “L’articolo 2, comma 1-bis, del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, è sostituito dal seguente: “1-bis. L’omesso versamento delle ritenute di cui al comma 1, per un importo superiore a euro 10.000 annui, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a euro 1.032. Se l’importo omesso non è superiore a euro 10.000 annui, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 a euro 50.000. Il datore di lavoro non è punibile, né assoggettabile alla sanzione amministrativa, quando provvede al versamento delle ritenute entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione”.
Gli accordi sindacali ex art. 2 d.lgs. n. 81/2015
0 Commenti-da adminCon interpello n. 27 del 15 dicembre 2015, la Direzione Generale per l’Attività ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha risposto ad un quesito posto dalla Assocontact sulla corretta interpretazione dell’art. 2, comma 2, lett. a), d.lgs. n. 81/2015.
Nel quesito si chiede indicazioni sugli elementi per qualificare l’accordo collettivo previsto dall’art. 2 sopra citato come accordo stipulato da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
La risposta al quesito è così stata formulata: “In linea con le osservazioni sopra formulate ed in risposta al quesito avanzato, si ritiene che l’esclusione di cui all’art. 2, comma 2, d.lgs. n. 81/2015 operi in relazione alle sole collaborazioni che trovano puntuale disciplina in accordi sottoscritti da associazioni sindacali in possesso del maggior grado di rappresentatività determinata all’esito della valutazione comparativa degli indici summenzionati. Di converso, l’eventuale applicazione di un diverso contratto collettivo non impedirà l’applicazione dell’art. 2 citato cosicché, a partire dal 2016, ai rapporti di collaborazione “che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro” ancorché disciplinati da un contratto collettivo (evidentemente privo dei requisiti in questione), si applicherà la disciplina del rapporto di lavoro subordinato”.