Con sentenza del 7 ottobre 2015, n. 20068, la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata sui limiti temporali per l’impugnabilità del licenziamento.
La Corte ha infatti affermato che l’impugnazione del licenziamento costituisce “una fattispecie a formazione progressiva, soggetta a due distinti e successivi termini decadenziali, rispetto alla quale risulta indifferente il momento perfezionativo dell’atto di impugnativa vero e proprio; la norma non prevede infatti la perdita di efficacia di un’impugnazione già perfezionatasi (dunque già pervenuta al destinatario) per effetto della successiva intempestiva attivazione dell’impugnante in sede contenziosa, ma impone un doppio termine di decadenza affinché l’impugnazione stessa sia in sé efficace”.
Il primo termine, chiarisce la Corte, sarà rispettato ove “l’impugnazione sia trasmessa entro 60 giorni dalla ricezione degli atti indicati da parte del lavoratore il quale, da tale momento, avendo assolto alla prima delle incombenze di cui è onerato, è assoggettato a quella ulteriore, sempre imposta a pena di decadenza, di attivare la fase giudiziaria entro il termine prefissato”.
L’impugnazione per essere efficace (ferma ovviamente la ricezione da parte del datore di lavoro), richiede il rispetto di un doppio termine di decadenza, che è interamente rimesso al controllo dello stesso impugnante.
Gli accordi sindacali ex art. 2 d.lgs. n. 81/2015
0 Commenti-da adminCon interpello n. 27 del 15 dicembre 2015, la Direzione Generale per l’Attività ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha risposto ad un quesito posto dalla Assocontact sulla corretta interpretazione dell’art. 2, comma 2, lett. a), d.lgs. n. 81/2015.
Nel quesito si chiede indicazioni sugli elementi per qualificare l’accordo collettivo previsto dall’art. 2 sopra citato come accordo stipulato da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
La risposta al quesito è così stata formulata: “In linea con le osservazioni sopra formulate ed in risposta al quesito avanzato, si ritiene che l’esclusione di cui all’art. 2, comma 2, d.lgs. n. 81/2015 operi in relazione alle sole collaborazioni che trovano puntuale disciplina in accordi sottoscritti da associazioni sindacali in possesso del maggior grado di rappresentatività determinata all’esito della valutazione comparativa degli indici summenzionati. Di converso, l’eventuale applicazione di un diverso contratto collettivo non impedirà l’applicazione dell’art. 2 citato cosicché, a partire dal 2016, ai rapporti di collaborazione “che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro” ancorché disciplinati da un contratto collettivo (evidentemente privo dei requisiti in questione), si applicherà la disciplina del rapporto di lavoro subordinato”.
Sulle modalità di esercizio del diritto di sciopero
0 Commenti-da adminCon sentenza n. 24653 del 3 dicembre 2015 i giudici della Suprema Corte si sono pronunciati in materia di diritto di sciopero affermando che questo “non ha altri limiti se non quelli che si rinvengono in norme che tutelino posizioni soggettive concorrenti, su un piano prioritario o quanto meno paritario, quali il diritto alla vita ed all’incolumità personale, nonché la libertà dell’iniziativa economica”. La Corte soggiunge altresì che l’accertamento in questione deve essere condotto caso per caso dal giudice, in relazione alle concrete modalità di esercizio del diritto di sciopero ed ai concreti pregiudizi o pericoli cui vengono esposti il diritto alla vita, all’incolumità delle persone ed all’integrità degli impianti produttivi. Nel caso di specie la Cassazione ha riconosciuto che, “attraverso l’attuazione di uno sciopero le cui modalità di esecuzione erano rimesse totalmente ai singoli interessati, senza una loro predeterminazione”, la società datrice di lavoro aveva subito un pregiudizio derivante “dall’impossibilità di prevenire i rischi sulla produttività aziendale con riferimento ai singoli reparti ove di volta in volta sarebbe stata attuata anche all’improvviso l’astensione dei lavoratori”. I giudici hanno dunque accolto il ricorso della società datrice di lavoro dichiarando l’illegittimità delle modalità di proclamazione dello sciopero oggetto della causa.
Indennità di turno e riposi compensativi
0 Commenti-da adminLa Corte di Cassazione, con sentenza n. 24439 del 1° dicembre 2015, si è pronunciata in materia di indennità di turno e riposi compensativi. I giudici della Suprema Corte hanno affermato che l’indennità di turno per i lavoratori di una azienda ospedaliera spetta anche in presenza di riposo compensativo in quanto lo stesso serve a compensare “la particolare penosità del lavoro”.
I termini di impugnazione del licenziamento
0 Commenti-da adminCon sentenza del 7 ottobre 2015, n. 20068, la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata sui limiti temporali per l’impugnabilità del licenziamento.
La Corte ha infatti affermato che l’impugnazione del licenziamento costituisce “una fattispecie a formazione progressiva, soggetta a due distinti e successivi termini decadenziali, rispetto alla quale risulta indifferente il momento perfezionativo dell’atto di impugnativa vero e proprio; la norma non prevede infatti la perdita di efficacia di un’impugnazione già perfezionatasi (dunque già pervenuta al destinatario) per effetto della successiva intempestiva attivazione dell’impugnante in sede contenziosa, ma impone un doppio termine di decadenza affinché l’impugnazione stessa sia in sé efficace”.
Il primo termine, chiarisce la Corte, sarà rispettato ove “l’impugnazione sia trasmessa entro 60 giorni dalla ricezione degli atti indicati da parte del lavoratore il quale, da tale momento, avendo assolto alla prima delle incombenze di cui è onerato, è assoggettato a quella ulteriore, sempre imposta a pena di decadenza, di attivare la fase giudiziaria entro il termine prefissato”.
L’impugnazione per essere efficace (ferma ovviamente la ricezione da parte del datore di lavoro), richiede il rispetto di un doppio termine di decadenza, che è interamente rimesso al controllo dello stesso impugnante.
Andare in pensione a 70 anni?
0 Commenti-da adminCon sentenza del 4 settembre 2015, n. 17589, le Sezioni Unite della Suprema Corte, hanno affermato che non sussiste un diritto potestativo del lavoratore alla prosecuzione del rapporto di lavoro fino a settant’anni di età.
Secondo le Sezioni Unite l’art. 24, comma 4, d.l. n. 201/2011 convertito in legge dalla l. n. 214/2011, offre solo “la possibilità che, grazie all’operare di coefficienti di trasformazione calcolati fino a 70 anni, si creino le condizioni per consentire ai lavoratori interessati la prosecuzione del rapporto di lavoro oltre i limiti previsti dalla disciplina del settore” sempreché vi sia una concorde valutazione delle parti “sulla base dei una reciproca valutazione di interessi”.
L’infortunio della lavoratrice assassinata dal convivente
0 Commenti-da adminCon sentenza del 7 settembre 2015, n. 17685, le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno escluso l’indennizzabilità dell’infortunio in itinere nel caso della lavoratrice assassinata dal suo convivente lungo il percorso da casa al luogo di lavoro giacché la donna aveva subito un rischio riguardante la sua vita personale non causalmente legato all’adempimento dell’obbligazione lavorativa o al percorso per recarsi nel luogo di lavoro.