La Corte Costituzionale, in data 11 gennaio 2017, ha dichiarato inammissibile uno dei tre quesiti referendari proposti dalla organizzazione sindacale Cgil: a non passare il vaglio della Consulta, infatti, è stato quello relativo all’art. 18 stat. lav., volto al ripristino della tutela reintegratoria in caso di licenziamento illegittimo e all’estensione della stessa ai lavoratori di imprese con più di cinque dipendenti.
L’Avvocatura dello Stato aveva eccepito l’inammissibilità del quesito rilevando che il medesimo non poteva considerarsi abrogativo dell’art. 18 stat. lav., ma parzialmente propositivo, poiché si prevedeva l’estensione della tutela reintegratoria ai lavoratori dipendenti delle imprese con un requisito dimensionale diverso rispetto a quello previsto dall’attuale disciplina.
Si riproduce, di seguito, il testo del quesito non ammesso: Volete voi l’abrogazione del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, recante “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183” nella sua interezza e dell’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, recante “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento” comma 1, limitatamente alle parole “previsti dalla legge o determinato da un motivo illecito determinante ai sensi dell’articolo 1345 del codice civile”; comma 4, limitatamente alle parole: “per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili,” e alle parole “, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. In ogni caso la misura dell’indennità risarcitoria non può essere superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto” ; comma 5 nella sua interezza ; comma 6, limitatamente alla parola “quinto” e alle parole “, ma con attribuzione al lavoratore di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, con onere di specifica motivazione a tale riguardo, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che vi è anche un difetto di giustificazione del licenziamento, nel qual caso applica, in luogo di quelle previste dal presente comma, le tutele di cui ai commi” e alle parole “, quinto o settimo”; comma 7, limitatamente alle parole “che il licenziamento è stato intimato in violazione dell’articolo 2110, secondo comma, del codice civile. Può altresì applicare la predetta disciplina nell’ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento” e alle parole “; nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma. In tale ultimo caso il giudice, ai fini della determinazione dell’indennità tra il minimo e il massimo previsti, tiene conto, oltre ai criteri di cui al quinto comma, delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento delle parti nell’ambito della procedura di cui all’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni. Qualora, nel corso del giudizio, sulla base della domanda formulata dal lavoratore, il licenziamento risulti determinato da ragioni discriminatorie o disciplinari, trovano applicazione le relative tutele previste dal presente articolo”; comma 8, limitatamente alle parole “in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento”, alle parole “quindici lavoratori o più di cinque se si tratta di imprenditore agricolo, nonché al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che nell’ambito dello stesso comune occupa più di quindici dipendenti e all’impresa agricola che nel medesimo ambito territoriale occupa più di” e alle parole “, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa più di sessanta dipendenti”.
Sono, invece, pienamente ammissibili gli altri due quesiti, diretti all’abrogazione delle disposizioni in materia di lavoro accessorio e di quelle volte a limitare la responsabilità solidale negli appalti (art. 29 del d.lgs. n. 276/2003).
Si riporta il testo dei due quesiti ammessi:
– Quesito sui “voucher”
Volete voi l’abrogazione degli articoli 48, 49 e 50 del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, recante “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183 ?
– Quesito sugli “appalti”
Volete voi l’abrogazione dell’articolo 29 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, recante “Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30”, comma 2, limitatamente alle parole “Salvo diversa disposizione dei contratti collettivi nazionali sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative del settore che possono individuare metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti,” e alle parole “Il committente imprenditore o datore di lavoro è convenuto in giudizio per il pagamento unitamente all’appaltatore e con gli eventuali ulteriori subappaltatori. Il committente imprenditore o datore di lavoro può eccepire, nella prima difesa, il beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell’appaltatore medesimo e degli eventuali subappaltatori. In tal caso il giudice accerta la responsabilità solidale di tutti gli obbligati, ma l’azione esecutiva può essere intentata nei confronti del committente imprenditore o datore di lavoro solo dopo l’infruttuosa escussione del patrimonio dell’appaltatore e degli eventuali subappaltatori?
Le decisioni della Consulta sui tre quesiti saranno depositate entro il prossimo 10 febbraio.
Diritto di critica e licenziamento illegittimo
0 Commenti-da adminCass., sez. lav., 17 gennaio 2017, n. 996 – Il diritto di critica nei confronti del datore di lavoro
Una dipendente era stata licenziata per aver presentato un esposto alla procura della Repubblica e al Ministro del Lavoro, criticando il proprio datore di lavoro a causa dell’improprio ricorso di quest’ultimo alla CIGS e alla mobilità.
La Cassazione ha rimarcato la necessità, affinché l’esercizio del diritto di critica sia legittimo, del rispetto del principio di continenza sostanziale – ossia, i fatti narrati devono corrispondere a verità – e di quello di continenza formale – ergo, l’esposizione dei fatti deve avvenire misuratamente.
La Corte ha confermato l’illegittimità del licenziamento, precisando, peraltro, a proposito della continenza formale, che tale requisito richiede l’osservanza della correttezza e civiltà delle espressioni utilizzate, ma è “attenuato dalla necessità (…) di esprimere le proprie opinioni e la propria personale interpretazione dei fatti, anche con espressioni astrattamente offensive e soggettivamente sgradite alla persona cui sono riferite”.
Il ddl sulla crisi di impresa
0 Commenti-da adminDisegno di legge delega per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza
In data 1° febbraio 2017, la Camera dei Deputati, dopo l’esame favorevole da parte della X Commissione permanente, ha approvato il ddl che delega il Governo ad emanare la riforma delle discipline della crisi d’impresa e dell’insolvenza.
Quest’ultimo definisce i principi generali per la riforma delle procedure concorsuali, nonché della disciplina delle crisi da sovraindebitamento; si prevedono, altresì, misure urgenti per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza e la revisione del sistema dei privilegi e delle garanzie.
Il testo, in particolare, prevede che il Governo, nell’esercizio della delega, debba introdurre una definizione di “stato di crisi”; tale concetto deve essere inteso come probabilità di futura insolvenza e deve tener conto delle elaborazioni della scienza aziendalistica.
È’ altresì degno di nota un aspetto puramente linguistico: il termine “fallimento” e i suoi derivati dovranno essere sostituiti con espressioni equivalenti, quali “insolvenza” o “liquidazione giudiziale”, adeguando dal punto di vista lessicale anche le relative disposizioni penali, “ferma restando la continuità delle fattispecie criminose”.
Inoltre, tra i principi ai quali il Governo si dovrà attenere, vi è quello della priorità di trattazione delle “proposte che comportino il superamento della crisi assicurando la continuità aziendale, anche tramite un diverso imprenditore, purché funzionali al miglior soddisfacimento dei creditori”.
Si prevede altresì che, nell’atto di individuare i fondati indizi della crisi, questi ultimi debbano essere valutati “secondo parametri corrispondenti a quelli rilevanti ai fini del riconoscimento delle misure premiali”.
Sempre secondo il testo del ddl, i creditori pubblici qualificati sono legittimati alla segnalazione, agli organi di controllo della società e, in ogni caso, al presidente della sezione specializzata in materia di impresa del tribunale competente, del perdurare degli inadempimenti di importo rilevante, che dovranno essere definiti “sulla base di criteri non assoluti ma relativi, come tali rapportati alle dimensioni dell’impresa”.
Il Governo deve altresì definire i casi di legittimazione del terzo a promuovere la procedura concordataria nei confronti del debitore che versi in stato di insolvenza “e non di mera crisi”.
Infine il disegno di legge rimarca la necessità che il Governo, nell’esercizio della delega, compia la più attenta e compiuta analisi d’impatto della regolazione, anche attraverso il confronto con le associazioni imprenditoriali, e operi nel senso di una valorizzazione delle competenze di dette associazioni nello sviluppo dell’esperienza degli organismi di composizione della crisi.
Sul trasferimento di ramo d’azienda
0 Commenti-da adminCorte Cass., 19 gennaio 2017, n. 1316 – Cessione di beni e trasferimento del ramo d’azienda
La Corte di Cassazione rammenta che l’elemento costitutivo ai fini dell’operatività della disposizione di cui all’art. 2112 cod. civ., sulla cessione del ramo d’azienda, è l’autonomia funzionale del ramo ceduto “ovvero la capacità di questo, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi, funzionale ed organizzativo e quindi di svolgere – autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario – il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell’ambito dell’impresa cedente al momento della cessione, indipendentemente dal coevo contratto di fornitura di servizi che venga contestualmente stipulato tra le parti”.
Nel caso di specie, era stata operata una rivendicazione da parte di un gruppo di dipendenti di un call center – a seguito dell’esternalizzazione di una parte dell’attività alla quale questi erano addetti – poiché tale operazione non era stata qualificata dalle parti come trasferimento di ramo d’azienda.
Si ricorda che, in base a quanto previsto dall’art. 2112 cod. civ., i rapporti di lavoro dei dipendenti addetti a un ramo d’azienda trasferito si svolgono senza soluzione di continuità con l’impresa del cessionario; essi mantengono i diritti acquisiti durante il rapporto con il cedente, e il cessionario è responsabile in solido per i crediti di lavoro sorti precedentemente al trasferimento, salvo diverso accordo. Inoltre, ai rapporti di lavoro si applicano, fino alla scadenza, i contratti collettivi applicati dal cedente – salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all’impresa del cessionario – e i lavoratori, nel caso in cui subiscano sostanziali modifiche alla disciplina del proprio rapporto di lavoro nei tre mesi successivi al trasferimento, possono rassegnare le proprie dimissioni per giusta causa.
In tal caso, il datore di lavoro aveva ceduto una serie di beni strumentali al preteso cessionario, e ha stipulato con quest’ultimo un contratto di appalto.
Diversamente da quanto stabilito dalle corti territoriali, la Cassazione ha escluso la possibilità di configurare il trasferimento del ramo di azienda, mancando “l’autonomia e l’autosufficienza dell’articolazione aziendale trasferita”; elemento che, peraltro, si desume dalla ”continua interazione necessaria per la realizzazione dell’attività ceduta, non svolta in autonomia, in continuo collegamento (…) con i programmi informatici necessari rimasti in proprietà esclusiva dell’impresa cedente e senza i quali non sarebbe stato possibile l’espletamento del servizio”.
Licenziamento e malattia
0 Commenti-da adminCass., sez. lav., 10 gennaio 2017, n. 284 – Licenziamento per superamento del periodo di comporto
La Corte di Cassazione rammenta che, ai fini della determinazione del superamento del comporto, non devono essere calcolati i periodi in cui il lavoratore si sottopone a cure mediche, durante il tempo libero della sua giornata di lavoro, se quest’ultimo svolge la propria attività part-time.
Nella sentenza in esame, la Corte di Cassazione ha rigettato la censura promossa dalla ricorrente, relativa alla lettera di licenziamento; il provvedimento espulsivo per superamento del periodo di comporto, infatti, è assimilabile a quello irrogato per giustificato motivo oggettivo.
Non è dunque necessario che il datore di lavoro descriva, nel dettaglio, tutti gli elementi a supporto delle ragioni del licenziamento; non si richiede che siano indicati i singoli giorni di assenza al fine di giustificare il calcolo. Secondo la Corte, sono sufficienti indicazioni più complessive, come quella del numero totale delle assenze verificatesi in un determinato periodo, fermo restando l’onere del datore di lavoro di allegare e provare i fatti costitutivi del potere di recesso, in sede giudiziale.
La Corte ha altresì affermato il seguente principio: la trasmissione al datore di lavoro, da parte del lavoratore, di certificazione di malattia durante il periodo feriale – e in relazione a giorni compresi in tale periodo – vale quale richiesta di modificazione del titolo dell’assenza (da ferie a malattia), pur in assenza di una espressa comunicazione, scritta od orale, al riguardo.
Tale atto, infatti, è idoneo a determinare, in modo univoco, l’effetto giuridico della conversione.
Corte costituzionale, jobs act e referendum
0 Commenti-da adminLa Corte Costituzionale, in data 11 gennaio 2017, ha dichiarato inammissibile uno dei tre quesiti referendari proposti dalla organizzazione sindacale Cgil: a non passare il vaglio della Consulta, infatti, è stato quello relativo all’art. 18 stat. lav., volto al ripristino della tutela reintegratoria in caso di licenziamento illegittimo e all’estensione della stessa ai lavoratori di imprese con più di cinque dipendenti.
L’Avvocatura dello Stato aveva eccepito l’inammissibilità del quesito rilevando che il medesimo non poteva considerarsi abrogativo dell’art. 18 stat. lav., ma parzialmente propositivo, poiché si prevedeva l’estensione della tutela reintegratoria ai lavoratori dipendenti delle imprese con un requisito dimensionale diverso rispetto a quello previsto dall’attuale disciplina.
Si riproduce, di seguito, il testo del quesito non ammesso: Volete voi l’abrogazione del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, recante “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183” nella sua interezza e dell’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, recante “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento” comma 1, limitatamente alle parole “previsti dalla legge o determinato da un motivo illecito determinante ai sensi dell’articolo 1345 del codice civile”; comma 4, limitatamente alle parole: “per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili,” e alle parole “, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. In ogni caso la misura dell’indennità risarcitoria non può essere superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto” ; comma 5 nella sua interezza ; comma 6, limitatamente alla parola “quinto” e alle parole “, ma con attribuzione al lavoratore di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, con onere di specifica motivazione a tale riguardo, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che vi è anche un difetto di giustificazione del licenziamento, nel qual caso applica, in luogo di quelle previste dal presente comma, le tutele di cui ai commi” e alle parole “, quinto o settimo”; comma 7, limitatamente alle parole “che il licenziamento è stato intimato in violazione dell’articolo 2110, secondo comma, del codice civile. Può altresì applicare la predetta disciplina nell’ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento” e alle parole “; nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma. In tale ultimo caso il giudice, ai fini della determinazione dell’indennità tra il minimo e il massimo previsti, tiene conto, oltre ai criteri di cui al quinto comma, delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento delle parti nell’ambito della procedura di cui all’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni. Qualora, nel corso del giudizio, sulla base della domanda formulata dal lavoratore, il licenziamento risulti determinato da ragioni discriminatorie o disciplinari, trovano applicazione le relative tutele previste dal presente articolo”; comma 8, limitatamente alle parole “in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento”, alle parole “quindici lavoratori o più di cinque se si tratta di imprenditore agricolo, nonché al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che nell’ambito dello stesso comune occupa più di quindici dipendenti e all’impresa agricola che nel medesimo ambito territoriale occupa più di” e alle parole “, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa più di sessanta dipendenti”.
Sono, invece, pienamente ammissibili gli altri due quesiti, diretti all’abrogazione delle disposizioni in materia di lavoro accessorio e di quelle volte a limitare la responsabilità solidale negli appalti (art. 29 del d.lgs. n. 276/2003).
Si riporta il testo dei due quesiti ammessi:
– Quesito sui “voucher”
Volete voi l’abrogazione degli articoli 48, 49 e 50 del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, recante “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183 ?
– Quesito sugli “appalti”
Volete voi l’abrogazione dell’articolo 29 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, recante “Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30”, comma 2, limitatamente alle parole “Salvo diversa disposizione dei contratti collettivi nazionali sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative del settore che possono individuare metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti,” e alle parole “Il committente imprenditore o datore di lavoro è convenuto in giudizio per il pagamento unitamente all’appaltatore e con gli eventuali ulteriori subappaltatori. Il committente imprenditore o datore di lavoro può eccepire, nella prima difesa, il beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell’appaltatore medesimo e degli eventuali subappaltatori. In tal caso il giudice accerta la responsabilità solidale di tutti gli obbligati, ma l’azione esecutiva può essere intentata nei confronti del committente imprenditore o datore di lavoro solo dopo l’infruttuosa escussione del patrimonio dell’appaltatore e degli eventuali subappaltatori?
Le decisioni della Consulta sui tre quesiti saranno depositate entro il prossimo 10 febbraio.
1.1.2017: novità per le assunzioni dei disabili
0 Commenti-da adminAssunzioni obbligatorie di lavoratori disabili: cosa cambia dal 1° gennaio 2017
A far data dal 1° gennaio 2017, il comma 2 dell’art. 3 della l. n. 68/1999 è abrogato, così come previsto dal d.lgs. n. 151/2015; per tale motivo, i datori di lavoro privati che occupano, alle proprie dipendenze, da 15 a 35 lavoratori, sono obbligati a rispettare la quota obbligatoria, anche in assenza di nuove assunzioni.
Si ricorda che le medesime disposizioni si applicano a datori di lavoro pubblici e privati, nonché a partiti politici, organizzazioni sindacali e a organizzazioni non lucrative.
Sul piano operativo, quindi, sarà necessario, per i datori di lavoro che si trovino nella fascia da 15 a 35 dipendenti, procedere all’assunzione di un lavoratore disabile; questi ultimi dovranno presentare la relativa richiesta agli uffici competenti entro sessanta giorni, computati a partire dal 1° gennaio 2017.
In virtù di quanto previsto dall’art. 4, comma 3-bis, della l. n. 68/1999, il datore di lavoro che dovesse già avere, alle proprie dipendenze, un lavoratore disabile con riduzione della capacità lavorativa pari o superiore al sessanta per cento, può computare quest’ultimo nella quota di riserva, anche se non assunto tramite il collocamento obbligatorio.
A tale proposito, si ritiene altresìopportuno ricordare che il d.lgs. n. 185/2016 ha elevato gli importi sanzionatori in caso di mancata assunzione di disabili; decorsi i sessanta giorni dalla data dell’insorgenza dell’obbligo, per ogni giorno lavorativo durante il quale non risulti coperta la quota obbligatoria – per cause imputabili al datore di lavoro – è prevista una sanzione pecuniaria pari a cinque volte la misura del contributo esonerativo di cui all’art. 5, comma 3 bis, della l. n. 68/1999, da versare al Fondo regionale per l’occupazione dei disabili per ciascun lavoratore disabile non occupato.