Con la circolare n. 86 del 15 luglio 2020, l’INPS ha fornito le istruzioni operative relative alle modalità nonché ai termini di accesso ai trattamenti di cassa integrazione in deroga, alla luce delle novità procedurali introdotte dal decreto Rilancio e dal successivo d.l. n. 52/2020.
Com’è noto, l’articolo 71, comma 1, del d.l. n. 34/2020 ha inserito al d.l. n. 18/2020 gli articoli 22-ter, 22-quater e 22-quinquies.
In particolare, il primo comma dell’articolo 22-quater prevede che i trattamenti di cassa integrazione guadagni in deroga, per i periodi successivi alle prime nove settimane, sono autorizzati dall’INPS, su domanda dei datori di lavoro.
L’INPS ha chiarito che i datori di lavoro che sono già stati autorizzati dalla Regione o dal Ministero del lavoro e delle politiche sociale (per le aziende plurilocalizzate) a trattamenti di CIGD per complessive nove settimane, indipendentemente dall’effettiva fruizione di tutto il periodo autorizzato, per i periodi di riduzione/sospensione di attività lavorativa successivi (ulteriori cinque settimane) fino al 31 agosto 2020, devono trasmettere telematicamente richiesta di concessione direttamente all’Istituto che – verificata la presenza del decreto regionale riguardante il periodo precedente e constatati il rispetto dei limiti di spesa e degli altri requisiti fissati dalla norma – provvederà all’autorizzazione ed all’erogazione della prestazione.
L’Istituto ha precisato che le aziende con unità produttive site nei comuni di cui all’articolo 22, comma 8-bis, del d.l. n. 18/2020 – c.d. zone rosse – nonché i datori collocati al di fuori dei predetti comuni ma con lavoratori residenti o domiciliati nei comuni medesimi, prima di poter richiedere il trattamento in deroga direttamente all’Istituto, devono completare il periodo di competenza regionale che, nella fattispecie, ha una durata di ulteriori tre mesi rispetto alle nove settimane previste per la generalità dei datori di lavoro (ventidue settimane complessive).
I datori di lavoro con unità produttive ubicate nelle regioni di cui all’articolo 22, comma 8-quater, del d.l. n. 18/2020 – c.d. regioni gialle – nonché quelli collocati al di fuori delle predette regioni ma con lavoratori residenti o domiciliati nelle medesime regioni, prima di poter richiedere il trattamento in deroga direttamente all’Istituto, devono completare il periodo di competenza regionale che, nel caso specifico, ha una durata di ulteriori quattro settimane rispetto alle nove previste per la generalità dei datori di lavoro (tredici settimane complessive).
Ne deriva che l’INPS, prima di procedere all’autorizzazione dell’istanza pervenuta, verificherà la presenza di autorizzazioni inviate con il numero di decreto convenzionale 33191 o 33192 di ventidue settimane complessive per le zone rosse, di autorizzazioni inviate con il numero di decreto convenzionale 33192 di tredici settimane per le regioni gialle e di autorizzazioni inviate con il numero di decreto convenzionale 33193 di nove settimane per il resto d’Italia.
Ai fini dell’ammissione al trattamento, l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale ha precisato che non potranno essere autorizzati periodi anche parzialmente coincidenti con la decretazione regionale.
Per le aziende con unità produttive site in più Regioni o Province autonome, il trattamento, per periodi fino alle prime nove settimane, è riconosciuto dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali; ne consegue che al medesimo Dicastero i datori di lavoro dovranno rivolgersi per il completamento delle nove settimane, laddove siano stati autorizzati per periodi inferiori.
La norma vincola la concessione delle ulteriori cinque settimane alla circostanza che ai datori di lavoro siano già state autorizzate dalla Regione le prime nove settimane di cassa in deroga, fermo restando il più ampio periodo per le aziende ubicate nei comuni delle c.d. zone rosse e per quelle con unità produttive site nelle c.d. regioni gialle. Conseguentemente, i datori di lavoro che avessero ottenuto decreti di autorizzazione per periodi inferiori a quelli di competenza regionale, prima di poter richiedere la tranche fino a 5 settimane prevista dal d.l. n. 34/2020 ed erogata dall’Istituto, dovranno presentare domanda ancora alla Regione competente per ottenere la concessione delle settimane ancora mancanti.
Al fine di consentire all’Istituto sia di erogare celermente le prestazioni inerenti alle prime nove settimane, sia di gestire in modo fluido le richieste di Cassa integrazione in deroga di propria competenza, le Regioni devono inviare in modalità telematica tramite il “Sistema Informativo dei Percettori” (SIP), entro quarantotto ore dall’adozione, i decreti di concessione ancora adottati, unitamente alla lista dei beneficiari.
Inoltre, in relazione alla previsione di cui all’articolo 22-quater, comma 4, del d.l. n. 18/2020, l’INPS ha chiarito che è necessario che le Regioni comunichino e inviino all’Istituto, al più presto, sempre tramite il “Sistema Informativo dei Percettori” (SIP), i decreti di concessione relativi ai periodi ricompresi tra il 23 febbraio e il 30 aprile 2020.
Ai sensi di quanto disposto dall’articolo 1, comma 2, del d.l. n. 52/2020, le domande relative ai trattamenti di CIGD devono essere presentate, a pena di decadenza, entro la fine del mese successivo a quello in cui ha avuto inizio il periodo di sospensione o di riduzione dell’attività lavorativa.
L’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale ha precisato che in sede di prima applicazione della norma, i suddetti termini sono spostati al 17 luglio (trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore del d.l. n. 52/2020), se tale ultima data è successiva a quella prevista per la scadenza dell’invio delle domande.
CIGD: le nuove istruzioni operative INPS
da adminCon la circolare n. 86 del 15 luglio 2020, l’INPS ha fornito le istruzioni operative relative alle modalità nonché ai termini di accesso ai trattamenti di cassa integrazione in deroga, alla luce delle novità procedurali introdotte dal decreto Rilancio e dal successivo d.l. n. 52/2020.
Com’è noto, l’articolo 71, comma 1, del d.l. n. 34/2020 ha inserito al d.l. n. 18/2020 gli articoli 22-ter, 22-quater e 22-quinquies.
In particolare, il primo comma dell’articolo 22-quater prevede che i trattamenti di cassa integrazione guadagni in deroga, per i periodi successivi alle prime nove settimane, sono autorizzati dall’INPS, su domanda dei datori di lavoro.
L’INPS ha chiarito che i datori di lavoro che sono già stati autorizzati dalla Regione o dal Ministero del lavoro e delle politiche sociale (per le aziende plurilocalizzate) a trattamenti di CIGD per complessive nove settimane, indipendentemente dall’effettiva fruizione di tutto il periodo autorizzato, per i periodi di riduzione/sospensione di attività lavorativa successivi (ulteriori cinque settimane) fino al 31 agosto 2020, devono trasmettere telematicamente richiesta di concessione direttamente all’Istituto che – verificata la presenza del decreto regionale riguardante il periodo precedente e constatati il rispetto dei limiti di spesa e degli altri requisiti fissati dalla norma – provvederà all’autorizzazione ed all’erogazione della prestazione.
L’Istituto ha precisato che le aziende con unità produttive site nei comuni di cui all’articolo 22, comma 8-bis, del d.l. n. 18/2020 – c.d. zone rosse – nonché i datori collocati al di fuori dei predetti comuni ma con lavoratori residenti o domiciliati nei comuni medesimi, prima di poter richiedere il trattamento in deroga direttamente all’Istituto, devono completare il periodo di competenza regionale che, nella fattispecie, ha una durata di ulteriori tre mesi rispetto alle nove settimane previste per la generalità dei datori di lavoro (ventidue settimane complessive).
I datori di lavoro con unità produttive ubicate nelle regioni di cui all’articolo 22, comma 8-quater, del d.l. n. 18/2020 – c.d. regioni gialle – nonché quelli collocati al di fuori delle predette regioni ma con lavoratori residenti o domiciliati nelle medesime regioni, prima di poter richiedere il trattamento in deroga direttamente all’Istituto, devono completare il periodo di competenza regionale che, nel caso specifico, ha una durata di ulteriori quattro settimane rispetto alle nove previste per la generalità dei datori di lavoro (tredici settimane complessive).
Ne deriva che l’INPS, prima di procedere all’autorizzazione dell’istanza pervenuta, verificherà la presenza di autorizzazioni inviate con il numero di decreto convenzionale 33191 o 33192 di ventidue settimane complessive per le zone rosse, di autorizzazioni inviate con il numero di decreto convenzionale 33192 di tredici settimane per le regioni gialle e di autorizzazioni inviate con il numero di decreto convenzionale 33193 di nove settimane per il resto d’Italia.
Ai fini dell’ammissione al trattamento, l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale ha precisato che non potranno essere autorizzati periodi anche parzialmente coincidenti con la decretazione regionale.
Per le aziende con unità produttive site in più Regioni o Province autonome, il trattamento, per periodi fino alle prime nove settimane, è riconosciuto dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali; ne consegue che al medesimo Dicastero i datori di lavoro dovranno rivolgersi per il completamento delle nove settimane, laddove siano stati autorizzati per periodi inferiori.
La norma vincola la concessione delle ulteriori cinque settimane alla circostanza che ai datori di lavoro siano già state autorizzate dalla Regione le prime nove settimane di cassa in deroga, fermo restando il più ampio periodo per le aziende ubicate nei comuni delle c.d. zone rosse e per quelle con unità produttive site nelle c.d. regioni gialle. Conseguentemente, i datori di lavoro che avessero ottenuto decreti di autorizzazione per periodi inferiori a quelli di competenza regionale, prima di poter richiedere la tranche fino a 5 settimane prevista dal d.l. n. 34/2020 ed erogata dall’Istituto, dovranno presentare domanda ancora alla Regione competente per ottenere la concessione delle settimane ancora mancanti.
Al fine di consentire all’Istituto sia di erogare celermente le prestazioni inerenti alle prime nove settimane, sia di gestire in modo fluido le richieste di Cassa integrazione in deroga di propria competenza, le Regioni devono inviare in modalità telematica tramite il “Sistema Informativo dei Percettori” (SIP), entro quarantotto ore dall’adozione, i decreti di concessione ancora adottati, unitamente alla lista dei beneficiari.
Inoltre, in relazione alla previsione di cui all’articolo 22-quater, comma 4, del d.l. n. 18/2020, l’INPS ha chiarito che è necessario che le Regioni comunichino e inviino all’Istituto, al più presto, sempre tramite il “Sistema Informativo dei Percettori” (SIP), i decreti di concessione relativi ai periodi ricompresi tra il 23 febbraio e il 30 aprile 2020.
Ai sensi di quanto disposto dall’articolo 1, comma 2, del d.l. n. 52/2020, le domande relative ai trattamenti di CIGD devono essere presentate, a pena di decadenza, entro la fine del mese successivo a quello in cui ha avuto inizio il periodo di sospensione o di riduzione dell’attività lavorativa.
L’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale ha precisato che in sede di prima applicazione della norma, i suddetti termini sono spostati al 17 luglio (trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore del d.l. n. 52/2020), se tale ultima data è successiva a quella prevista per la scadenza dell’invio delle domande.
Insubordinazione e gravi minacce al superiore gerarchico
da adminCon la decisione 1 luglio 2020 n. 13411 la Corte di Cassazione ha ribadito che la nozione di insubordinazione, nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, non può essere limitata al rifiuto di adempimento delle disposizioni dei superiori, ma implica necessariamente anche qualsiasi altro comportamento atto a pregiudicare l’esecuzione ed il corretto svolgimento di dette disposizioni nel quadro della organizzazione aziendale.
La Suprema Corte ha inoltre precisato che il carattere extralavorativo di un comportamento non ne preclude in via generale la sanzionabilità in sede disciplinare.
Nel caso di specie un lavoratore non direttamente dipendente del responsabile amministrativo di un’azienda era stato licenziato per “insubordinazione” per aver pronunciato gravi minacce nei confronti dello stesso.
L’episodio era avvenuto nel corso di un diverbio in ordine al possesso di una chiavetta per accedere alla macchinetta del caffè, verificatosi fuori dell’orario di lavoro ma all’interno dei locali aziendali.
La distribuzione dell’onere della prova in materia di infortunio sul lavoro
da adminCon la decisione 7 luglio 2020 n. 14082 la Corte di Cassazione, in tema di sicurezza dell’ambiente di lavoro, ha affermato che il mero fatto di lesioni riportate dal dipendente in occasione dello svolgimento dell’attività lavorativa non determina di per sé l’addebito delle conseguenze dannose al datore di lavoro, occorrendo la prova, tra l’altro, della nocività dell’ambiente di lavoro.
La responsabilità del datore di lavoro deve quindi essere collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge, ma anche suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento.
Ne consegue che incombe sul lavoratore che lamenti di avere subìto, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di provare l’esistenza di tale danno, come pure la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’uno e l’altro, e solo se il lavoratore abbia fornito la prova di tali circostanze, sussiste per il datore di lavoro l’onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi.
Nel caso di specie, un dipendente era caduto procurandosi gravi lesioni attraversando una buca di due metri di lunghezza e altri due di larghezza che era stata creata per raggiungere mediante una scala a pioli i locali interrati dello stabilimento in cui prestava la propria attività lavorativa.
Quale destino per il lavoro agile emergenziale dopo il 31 luglio?
da adminIl Decreto Rilancio è stato convertito in legge e la disciplina dell’art. 90, comma 4, è rimasta invariata.
Tale disposizione prevede quanto segue:
“Fermo restando quanto previsto dall’articolo 87 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, per i datori di lavoro pubblici, limitatamente al periodo di tempo di cui al comma 1 e comunque non oltre il 31 dicembre 2020, la modalità di lavoro agile disciplinata dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, può essere applicata dai datori di lavoro privati a ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni, anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti; gli obblighi di informativa di cui all’articolo 22 della medesima legge n. 81 del 2017, sono assolti in via telematica anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito dell’Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro (INAIL).”
Il Ministero del Lavoro ha tentato di chiarire il tenore letterale della disposizione in una FAQ di alcuni giorni fa.
Ecco quanto si legge nella FAQ:
“SMART WORKING: PROCEDURA SEMPLIFICATA
Fino a quando è utilizzabile la procedura “semplificata” per la comunicazione di smart working prevista dall’articolo 90 del D.L. n. 34/2020?
L’articolo 90 del Decreto legge n. 34/2020 specifica che la modalità di lavoro agile può essere applicata dai datori di lavoro privati a ogni rapporto di lavoro subordinato anche in assenza degli accordi individuali, ovvero utilizzando la procedura “semplificata” attualmente in uso, e ciò sino alla fine dello stato di emergenza (attualmente fissata al 31 luglio 2020) e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2020. Pertanto, allo stato attuale, la procedura “semplificata” è utilizzabile sino al 31 luglio 2020.
Il riferimento della norma al 31 dicembre 2020 è da intendersi come limite massimo di applicazione della procedura di cui sopra, nel caso di proroghe allo stato di emergenza.
Resta inteso che sia le nuove attivazioni, sia le prosecuzioni dello svolgimento della modalità agile oltre la data del 31 luglio 2020 dovranno essere eseguite con le modalità e i termini previsti dagli articoli da 18 a 23 della Legge 22 maggio 2017, n. 81″
Alla luce di questa FAQ il lavoro agile emergenziale (e unilaterale) non potrebbe andare oltre il 31 luglio 2020.
Pertanto, per ricorrere al lavoro agile successivamente a tale data occorrerebbe stipulare accordi individuali in modalità ordinaria.
L’interpretazione fornita dal Ministero del Lavoro pone diverse questioni sia sul piano teorico, sia su quello pratico.
In primo luogo, una lettura così restrittiva della disposizione (e invero contraria al suo tenore letterale) appare insoddisfacente nella misura in cui svuota di efficacia precettiva il rinvio al termine massimo del 31 dicembre 2020.
In secondo luogo, tale interpretazione pone numerosi problemi nella gestione del personale, soprattutto nelle imprese di dimensioni medio-grandi, che in questi mesi hanno fatto ricorso al lavoro agile in forma massiva.
In pochissimi giorni, infatti, le imprese saranno chiamate a valutare la gestione dei rapporti di lavoro in modalità agile (in molti casi si tratta di centinaia di rapporti di lavoro), avendo peraltro riposto un legittimo affidamento nella annunciata proroga dello stato di emergenza.
È paradossale constatare che la legge di conversione del Decreto Rilancio sia intervenuta solo sul primo comma dell’art. 90, estendendo la platea dei destinatari del diritto al lavoro agile solo fino al 31 luglio 2020, data di cessazione dello stato di emergenza epidemiologica: per alcuni dei destinatari il diritto al lavoro agile potrà essere esercitato dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge di conversione fino al 31 luglio.
Per tutte queste ragioni intendo lanciare un appello affinché il Ministero del Lavoro chiarisca la sua interpretazione (peraltro anteriore alla legge di conversione).
In ogni caso è opportuno che, in via temporanea, rimanga la possibilità di attivare o prorogare unilateralmente il lavoro agile anche dopo il 31 luglio p.v., al fine di consentire alle imprese di far fronte ad una situazione emergenziale che non sembra ancora pienamente superata.
Occorre gestire una transizione difficile e dunque supportare le imprese e i lavoratori in passaggi complessi e delicati, passaggi che, per non creare difficoltà, devono essere graduali.
Convertito in legge il Decreto Rilancio
da adminOggi il Senato ha approvato con 159 voti favorevoli, 121 contrari e nessuna astensione il ddl n. 1874 di conversione in legge del decreto n. 34/2020 (c.d. decreto Rilancio).
Molti sono gli interventi all’originario testo del decreto legge.
Con riferimento ai profili lavoristici si segnalano di seguito alcune delle principali novità introdotte in sede di conversione.
Licenziamenti collettivi e per g.m.o.
All’art. 80 del decreto Rilancio – disposizione dedicata ai licenziamenti per g.m.o. e collettivi – viene aggiunto il comma 1-bis, a norma del quale “Fino al 17 agosto 2020 la procedura di cui all’articolo 47, comma 2, della legge 29 dicembre 1990, n. 428, nel caso in cui non sia stato raggiunto un accordo, non può avere una durata inferiore a quarantacinque giorni.”
Con l’introduzione dell’art. 80-bis viene poi inserita una norma di interpretazione autentica dell’art. 38, c. 3, d.lgs. n. 81/2015: ai sensi della lettura fornita dal legislatore, il licenziamento non è ricompreso tra gli atti di costituzione e gestione del rapporto, formalmente compiuti o ricevuti dal somministrazione, ma di fatto “imputabili” all’utilizzatore.
Merita, tuttavia, segnalare che la legge di conversione non interviene sul periodo di sospensione delle procedure di licenziamento per g.m.o. e collettivo.
Pertanto, a decorrere dal 18 agosto 2020 torna ad operare la disciplina ordinaria in tema di licenziamenti collettivi e licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo.
Lavoro agile nel settore privato e nelle pubbliche amministrazioni
Nel settore privato viene ampliata la platea di destinatari del diritto al lavoro agile (art. 90 decreto Rilancio).
Fino alla cessazione dello stato di emergernza, viene infatti riconosciuto il diritto allo smart working anche ai lavoratori c.d. fragili, ritenuti tali in base della valutazione del medico competente.
La legge di conversione interviene anche sulla disciplina del lavoro agile nelle pubbliche amministrazioni.
Il “nuovo” comma 1 dell’art. 263 stabilisce che fino al 31 dicembre 2020 le pubbliche amministrazioni organizzano il lavoro dei dipendenti e l’erogazione dei servizi attraverso la flessibilità dell’orario di lavoro, rivedendone l’articolazione giornaliera e settimanale, introducendo modalità di interlocuzione programmata, anche attraverso soluzioni digitali e non in presenza con l’utenza, applicando il lavoro agile nella forma semplificata al 50% del personale impiegato nelle attivitià che possono essere svolte in tale modalità.
All’interno dell’art. 14 l. n. 124/2015 viene anche prevista la possibilità per le amministrazioni pubbliche di adottare entro il 31 gennaio di ciascun anno il Piano organizzativo del lavoro agile (c.d. POLA).
Proroga dei contratti a termine e dei contratti di apprendistato
All’art. 93 del decreto Rilancio viene aggiunto il comma 1-bis che dispone la proroga dei contratti di lavoro a termine, anche in regime di somministrazione, e di apprendistato per una durata pari al periodo di sospensione dell’attività lavorativa in conseguenza dell’emergenza epidemiologica.
Ecco il testo della legge di conversione approvata in data odierna al Senato.
Nuovo profilo di incostituzionalità del Jobs Act: depositate le motivazioni della Consulta
da adminNella giornata di oggi la Corte Costituzionale ha depositato le motivazioni della sentenza n. 150/2020, con la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 d.lgs. n. 23/2015 nella parte in cui fissa un criterio rigido e automatico di determinazione dell’indennità risarcitoria in caso di licenziamenti viziati sul piano formale e procedurale.
Si legge nelle motivazioni della sentenza che il criterio di commisurazione dell’indennità “non fa che accentuare la marginalità dei vizi formali e procedurali e ne svaluta ancor più la funzione di garanzia di fondamentali valori di civiltà giuridica, orientati alla tutela della dignità della persona del lavoratore”.
In particolare, nei casi di anzianità modesta “si riducono in modo apprezzabile sia la funzione compensativa sia l’efficacia deterrente della tutela indennitaria”.
In allegato le motivazioni della sentenza.