Il decreto di agosto è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale e viene già ribattezzarlo decreto di Ferragosto, visto che è in vigore dal 15 agosto 2020.
Una denominazione questa che non prelude a grandi fortune (ovviamente c’è da augurarsi il contrario), considerato che un precedente, come si ricorderà, si rinviene nel decreto legge 13 agosto 2011 n. 138 che, pur mancando di un paio di giorni la festività, viene ricordato come la manovra di Ferragosto dell’allora Governo Berlusconi, che non raggiunse mirabili traguardi.
Vediamo adesso alcune delle disposizioni del decreto che riguardano il diritto del lavoro, salvo ogni ulteriore approfondimento.
Il Governo, con l’attuale decreto (art. 1), dà il via libera ad una nuova fase degli ammortizzatori sociali concepiti per far fronte al Covid-19: il traghettamento è compreso nel periodo dal 13 luglio al 31 dicembre 2020 e per una durata massima di nove settimane, incrementate di ulteriori nove settimane. Le ulteriori nove settimane di trattamenti sono riconosciute esclusivamente ai datori di lavoro ai quali sia stato già interamente autorizzato il precedente periodo di nove settimane, decorso il periodo autorizzato. Per questa seconda tranche è però previsto un contributo addizionale determinato sulla base del raffronto tra il fatturato aziendale del primo semestre 2020 e quello del corrispondente semestre 2019, pari: a) al 9 per cento della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate durante la sospensione o riduzione dell’attività lavorativa, per i datori di lavoro che hanno avuto una riduzione del fatturato inferiore al venti per cento; b) al 18 per cento della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate durante la sospensione o riduzione dell’attività lavorativa, per i datori di lavoro che non hanno avuto alcuna riduzione del fatturato. Il contributo addizionale non è dovuto dai datori di lavoro che hanno subito una riduzione del fatturato pari o superiore al 20 per cento e per coloro che hanno avviato l’attività di impresa successivamente al primo gennaio 2019.
Il decreto prevede (art. 3) per i datori di lavoro privati, con esclusione del settore agricolo, che non richiedono i trattamenti di integrazione salariale per Covid-19 e che abbiano già fruito, nei mesi di maggio e giugno 2020, di tali trattamenti l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali a loro carico, per un periodo massimo di quattro mesi, fruibili entro il 31 dicembre 2020, nei limiti del doppio delle ore di integrazione salariale già fruite nei predetti mesi di maggio e giugno 2020, con esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL, riparametrato e applicato su base mensile. L’esonero può essere riconosciuto anche ai datori di lavoro che hanno richiesto periodi di integrazione salariale ai sensi del predetto decreto-legge n. 18 del 2020, collocati, anche parzialmente, in periodi successivi al 12 luglio 2020.
Una ulteriore misura di esonero (operante fino al 31 dicembre 2020) riguarda i datori, con esclusione del settore agricolo, che assumono, successivamente all’entrata in vigore del decreto, lavoratori subordinati a tempo indeterminato, con esclusione dei contratti di apprendistato e dei contratti di lavoro domestico. In tal caso viene riconosciuto l’esonero totale dal versamento dei contributi previdenziali a loro carico, per un periodo massimo di sei mesi decorrenti dall’assunzione, con esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL, nel limite massimo di un importo di esonero pari a 8.060 euro su base annua, riparametrato e applicato su base mensile (art. 6).
Il decreto ritorna (art. 8) sul contratto a termine, modificando l’art. 93 del decreto rilancio (decreto-legge 19 maggio 2020 n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77). Nella nuova formulazione dell’art. 93 cit. viene sostituito il comma 1 : «In conseguenza dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, in deroga all’articolo 21 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81 e fino al 31 dicembre 2020, ferma restando la durata massima complessiva di ventiquattro mesi, è possibile rinnovare o prorogare per un periodo massimo di dodici mesi e per una sola volta i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, anche in assenza delle condizioni di cui all’articolo 19, comma 1, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81». La formula, se da un lato abbandona il precedente riferimento al “riavvio delle attività” facendo venir meno un elemento ritenuto necessario per accedere alla deroga, sembra, da altro lato, più restrittiva perché incanala la deroga dentro i limiti massimi temporali della disciplina standard.
Viene prorogato il divieto di licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo e collettivi già previsto dalle ben note precedenti disposizioni (art. 14).
Il tenore letterale dell’art. 14 non è chiarissimo ma la lettura sistematica delle varie disposizioni sembra confermare l’operatività del divieto fino al 31 dicembre 2020.
A questa soluzione si perviene proprio leggendo gli artt. 1 e 3 prima esaminati unitamente all’art. 14 cit. il quale prevede che ai datori di lavoro che non abbiano integralmente fruito dei trattamenti di integrazione salariale riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19 di cui all’articolo 1 ovvero dell’esonero dal versamento dei contributi previdenziali di cui all’articolo 3 resta precluso l’avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223 e restano altresì sospese le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020, fatte salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto di appalto. Alle stesse condizioni di cui al comma 1, resta, altresì, preclusa al datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, la facoltà di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e restano altresì sospese le procedure in corso di cui all’articolo 7 della medesima legge.
Da tale ultima formula potrebbe trarsi la conclusione che, nel caso di imprese che ricorrano ai trattamenti di integrazione salariale da Covid-19, il divieto di licenziamento è destinato ad operare solo fino alla integrale fruizione di tali trattamenti: in tali casi dunque non opererebbe uno specifico limite temporale ma il divieto verrebbe meno solo dopo al termine dell’integrazione salariale.
I divieti sopra indicati non si applicano nelle ipotesi di licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività, nei caso in cui nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni od attività che possano configurare un trasferimento d’azienda o di un ramo di essa ai sensi dell’articolo 2112 cod. civ., ovvero nelle ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo, a detti lavoratori è comunque riconosciuto il trattamento di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22. Sono altresì esclusi dal divieto i licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione. Nel caso in cui l’esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell’azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso.
CIG in deroga per le aziende plurilocalizzate: ulteriori indicazioni INPS per il pagamento delle prestazioni
da adminCon il messaggio 3144 del 25 agosto 2020 l’INPS ha illustrato le novità introdotte in materia di cassa integrazione in deroga (CIGD) dal d.l. n. 34/2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 77/2020, e dal decreto-legge n. 52/2020, con particolare riguardo al trattamento di cassa integrazione in deroga a beneficio delle aziende c.d. plurilocalizzate ed ha fornito indicazioni operative per la corretta gestione del flusso dei provvedimenti di concessione, nonché per il pagamento delle prestazioni.
L’articolo 71, comma 1, del decreto-legge n. 34/2020, modificando il decreto-legge n. 18/2020, ha introdotto gli articoli 22-ter, 22-quater e 22-quinquies.
In particolare, il comma 1 dell’articolo 22-quater prevede che i trattamenti di cassa integrazione guadagni in deroga, per i periodi successivi alle prime nove settimane, siano autorizzati dall’INPS, su domanda dei datori di lavoro.
L’Istituto ha chiarito che i datori di lavoro che hanno avuto già autorizzato l’intero periodo spettante, secondo le indicazioni precedentemente fornite con il messaggio n. 2856/2020, possono presentare domanda all’Istituto per un ulteriore periodo di cinque settimane, decorrenti dal 23 febbraio 2020 al 31 agosto 2020, e, una volta integralmente fruite le citate cinque settimane, per eventuali ulteriori quattro settimane per periodi fino al 31 ottobre 2020.
I datori di lavoro ai quali siano stati autorizzati periodi inferiori ad almeno nove settimane devono invece presentare istanza per il completamento delle settimane spettanti al Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, prima di poter inoltrare la richiesta all’Istituto delle ulteriori cinque ed eventuali successive quattro settimane.
I datori di lavoro che hanno erroneamente presentato domanda per trattamenti diversi dalla CIGD cui avrebbero avuto diritto o comunque con errori o omissioni che ne hanno impedito l’accettazione, possono presentare la domanda nelle modalità corrette entro trenta giorni dalla comunicazione dell’errore da parte dell’Amministrazione di riferimento, a pena di decadenza, anche nelle more della revoca dell’eventuale provvedimento di concessione emanato dall’Amministrazione competente.
Le domande devono essere corredate dall’accordo sindacale, dall’elenco dei lavoratori interessati alla sospensione o riduzione dell’orario di lavoro, dal quale emerga la quantificazione delle ore di sospensione, con il relativo importo, i dati dell’azienda e dell’unità produttiva che fruisce del trattamento, la causale dell’intervento e il nominativo del referente della domanda.
Con il messaggio n. 2328/2020 sono state fornite le istruzioni per un flusso di gestione di invio delle domande all’Istituto, c.d. “semplificato”, che consente alle aziende che hanno molteplici unità produttive la presentazione di un numero minore di domande, unificandole in unità produttive accorpanti, omogenee per attività svolta e per collocazione territoriale.
L’Istituto ha precisato che le aziende che hanno usufruito di questa possibilità dovranno inoltrare le domande per i periodi ulteriori utilizzando lo stesso criterio delle unità produttive accorpanti.
Su “Sistema Unico” le suddette domande saranno identificate dal codice intervento 667 e codice evento 673 e saranno individuabili con la descrizione “Deroga INPS Plurilocalizzate”.
Cessazione appalto: illegittimo il licenziamento se manca il nesso di causalità
da adminCon sentenza del 29 luglio 2020 n. 16253, la Corte di Cassazione, confermando la decisione dei giudici di merito, ha stabilito che il lavoratore licenziato per giustificato motivo oggettivo alla cessazione di un contratto d’appalto deve essere reintegrato se il datore non dimostra in concreto l’effettiva esuberanza della posizione del dipendente e l’impossibilità di riutilizzarlo.
In particolare, i Giudici di legittimità hanno affermato che la mancanza di un nesso causale tra il recesso datoriale ed il motivo addotto a suo fondamento integra la manifesta insussistenza del fatto che giustifica la tutela reintegratoria.
L’imprenditore non può infatti ritenere sufficiente la sussistenza di un giustificato motivo oggettivo solo in virtù della mera cessazione di un appalto – ipotesi quest’ultima che si verifica in via ordinaria nell’ambito di qualsiasi attività imprenditoriale – ma deve dimostrare il nesso di causalità, anche descrivendo la struttura organizzativa della società e gli appalti in essere al momento del licenziamento, in modo da dimostrare che la posizione del dipendente licenziato sia effettivamente diventata esuberante e che lo stesso non sia più proficuamente utilizzabile.
Appalto genuino anche se si utilizzano i mezzi del committente
da adminCon decisione dell’8 luglio 2020 n. 14371, la Corte di Cassazione ha ribadito che può essere considerato genuinoanche l’appalto in cui vengano utilizzati i mezzi di proprietà del committente, a condizione che l’appaltatore provi di apportare capitale (diverso da quello impiegato in retribuzioni ed in genere per sostenere il costo del lavoro), know how, software e, in genere, beni immateriali, indispensabili per l’esecuzione dell’opera o del servizio oggetto del contratto.
L’utilizzazione, da parte dell’appaltatore, di capitali, macchine ed attrezzature fornite dall’appaltante integra la fattispecie di interposizione illecita di manodopera solo quando il conferimento di tali mezzi sia di rilevanza tale da rendere del tutto marginale ed accessorio l’apporto dell’appaltatore.
Il decreto di Ferragosto
da adminIl decreto di agosto è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale e viene già ribattezzarlo decreto di Ferragosto, visto che è in vigore dal 15 agosto 2020.
Una denominazione questa che non prelude a grandi fortune (ovviamente c’è da augurarsi il contrario), considerato che un precedente, come si ricorderà, si rinviene nel decreto legge 13 agosto 2011 n. 138 che, pur mancando di un paio di giorni la festività, viene ricordato come la manovra di Ferragosto dell’allora Governo Berlusconi, che non raggiunse mirabili traguardi.
Vediamo adesso alcune delle disposizioni del decreto che riguardano il diritto del lavoro, salvo ogni ulteriore approfondimento.
Il Governo, con l’attuale decreto (art. 1), dà il via libera ad una nuova fase degli ammortizzatori sociali concepiti per far fronte al Covid-19: il traghettamento è compreso nel periodo dal 13 luglio al 31 dicembre 2020 e per una durata massima di nove settimane, incrementate di ulteriori nove settimane. Le ulteriori nove settimane di trattamenti sono riconosciute esclusivamente ai datori di lavoro ai quali sia stato già interamente autorizzato il precedente periodo di nove settimane, decorso il periodo autorizzato. Per questa seconda tranche è però previsto un contributo addizionale determinato sulla base del raffronto tra il fatturato aziendale del primo semestre 2020 e quello del corrispondente semestre 2019, pari: a) al 9 per cento della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate durante la sospensione o riduzione dell’attività lavorativa, per i datori di lavoro che hanno avuto una riduzione del fatturato inferiore al venti per cento; b) al 18 per cento della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate durante la sospensione o riduzione dell’attività lavorativa, per i datori di lavoro che non hanno avuto alcuna riduzione del fatturato. Il contributo addizionale non è dovuto dai datori di lavoro che hanno subito una riduzione del fatturato pari o superiore al 20 per cento e per coloro che hanno avviato l’attività di impresa successivamente al primo gennaio 2019.
Il decreto prevede (art. 3) per i datori di lavoro privati, con esclusione del settore agricolo, che non richiedono i trattamenti di integrazione salariale per Covid-19 e che abbiano già fruito, nei mesi di maggio e giugno 2020, di tali trattamenti l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali a loro carico, per un periodo massimo di quattro mesi, fruibili entro il 31 dicembre 2020, nei limiti del doppio delle ore di integrazione salariale già fruite nei predetti mesi di maggio e giugno 2020, con esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL, riparametrato e applicato su base mensile. L’esonero può essere riconosciuto anche ai datori di lavoro che hanno richiesto periodi di integrazione salariale ai sensi del predetto decreto-legge n. 18 del 2020, collocati, anche parzialmente, in periodi successivi al 12 luglio 2020.
Una ulteriore misura di esonero (operante fino al 31 dicembre 2020) riguarda i datori, con esclusione del settore agricolo, che assumono, successivamente all’entrata in vigore del decreto, lavoratori subordinati a tempo indeterminato, con esclusione dei contratti di apprendistato e dei contratti di lavoro domestico. In tal caso viene riconosciuto l’esonero totale dal versamento dei contributi previdenziali a loro carico, per un periodo massimo di sei mesi decorrenti dall’assunzione, con esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL, nel limite massimo di un importo di esonero pari a 8.060 euro su base annua, riparametrato e applicato su base mensile (art. 6).
Il decreto ritorna (art. 8) sul contratto a termine, modificando l’art. 93 del decreto rilancio (decreto-legge 19 maggio 2020 n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77). Nella nuova formulazione dell’art. 93 cit. viene sostituito il comma 1 : «In conseguenza dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, in deroga all’articolo 21 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81 e fino al 31 dicembre 2020, ferma restando la durata massima complessiva di ventiquattro mesi, è possibile rinnovare o prorogare per un periodo massimo di dodici mesi e per una sola volta i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, anche in assenza delle condizioni di cui all’articolo 19, comma 1, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81». La formula, se da un lato abbandona il precedente riferimento al “riavvio delle attività” facendo venir meno un elemento ritenuto necessario per accedere alla deroga, sembra, da altro lato, più restrittiva perché incanala la deroga dentro i limiti massimi temporali della disciplina standard.
Viene prorogato il divieto di licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo e collettivi già previsto dalle ben note precedenti disposizioni (art. 14).
Il tenore letterale dell’art. 14 non è chiarissimo ma la lettura sistematica delle varie disposizioni sembra confermare l’operatività del divieto fino al 31 dicembre 2020.
A questa soluzione si perviene proprio leggendo gli artt. 1 e 3 prima esaminati unitamente all’art. 14 cit. il quale prevede che ai datori di lavoro che non abbiano integralmente fruito dei trattamenti di integrazione salariale riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19 di cui all’articolo 1 ovvero dell’esonero dal versamento dei contributi previdenziali di cui all’articolo 3 resta precluso l’avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223 e restano altresì sospese le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020, fatte salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto di appalto. Alle stesse condizioni di cui al comma 1, resta, altresì, preclusa al datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, la facoltà di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e restano altresì sospese le procedure in corso di cui all’articolo 7 della medesima legge.
Da tale ultima formula potrebbe trarsi la conclusione che, nel caso di imprese che ricorrano ai trattamenti di integrazione salariale da Covid-19, il divieto di licenziamento è destinato ad operare solo fino alla integrale fruizione di tali trattamenti: in tali casi dunque non opererebbe uno specifico limite temporale ma il divieto verrebbe meno solo dopo al termine dell’integrazione salariale.
I divieti sopra indicati non si applicano nelle ipotesi di licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività, nei caso in cui nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni od attività che possano configurare un trasferimento d’azienda o di un ramo di essa ai sensi dell’articolo 2112 cod. civ., ovvero nelle ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo, a detti lavoratori è comunque riconosciuto il trattamento di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22. Sono altresì esclusi dal divieto i licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione. Nel caso in cui l’esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell’azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso.
Misure di contrasto al Covid-19 prorogate fino al 7 settembre 2020
da adminE’ stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 198 dell’8 agosto 2020 il testo del DPCM 7 agosto 2020, con il quale vengono prorogate, fino al 7 settembre 2020, le misure precauzionali minime per contrastare e contenere il diffondersi del virus Covid-19.
Tra le disposizioni più significative che sono state confermate si segnala:
• l’obbligo di utilizzare protezioni delle vie respiratorie nei luoghi al chiuso accessibili al pubblico, inclusi i mezzi di trasporto e comunque in tutte le occasioni in cui non sia possibile garantire continuativamente il mantenimento della distanza di sicurezza;
• l’obbligo di mantenere una distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro;
• l’obbligo per i soggetti con infezione respiratoria caratterizzata da febbre (maggiore di 37,5°) di rimanere presso il proprio domicilio, contattando il proprio medico curante;
• l’obbligo per tutte le attività produttive industriali e commerciali di rispettare i contenuti del protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus COVID-19 negli ambienti di lavoro sottoscritto il 24 aprile 2020 fra il Governo e le parti sociali di cui all’allegato 12, nonchè, per i rispettivi ambiti di competenza, il protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del COVID-19 nei cantieri, sottoscritto il 24 aprile 2020 fra il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e le parti sociali, di cui all’allegato 13, e il protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del COVID-19 nel settore del trasporto e della logistica sottoscritto il 20 marzo 2020, di cui all’allegato 14.
• le attività commerciali al dettaglio possono svolgersi a condizione che sia assicurato, oltre alla distanza interpersonale di almeno un metro, che gli ingressi avvengano in modo dilazionato e che venga impedito di sostare all’interno dei locali piu’ del tempo necessario all’acquisto dei beni; le suddette attività devono svolgersi nel rispetto dei contenuti di protocolli o linee guida idonei a prevenire o ridurre il rischio di contagio nel settore di riferimento o in ambiti analoghi, adottati dalle Regioni o dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome nel rispetto dei principi contenuti nei protocolli o nelle linee guida nazionali e comunque in coerenza con i criteri di cui all’allegato 10;
• in ordine alle attività professionali si continua a raccomandare che:
a) esse siano attuate anche mediante modalità di lavoro agile, ove possano essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza;
b) siano incentivate le ferie e i congedi retribuiti per i dipendenti nonchè gli altri strumenti previsti dalla contrattazione collettiva;
c) siano assunti protocolli di sicurezza anti-contagio e, laddove non fosse possibile rispettare la distanza interpersonale di almeno un metro come principale misura di contenimento, con adozione di strumenti di protezione individuale;
d) siano incentivate le operazioni di sanificazione dei luoghi di lavoro, anche utilizzando a tal fine forme di ammortizzatori sociali.
A decorrere dal 1° settembre 2020 sono consentite le manifestazione fieristiche ed i congressi, previa adozione di Protocolli validati dal Comitato tecnico-scientifico di cui all’art. 2 dell’ordinanza 3 febbraio 2020, n. 630, del Capo del Dipartimento della protezione civile, e secondo misure organizzative adeguate alle dimensioni ed alle caratteristiche dei luoghi e tali da garantire ai frequentatori la possibilità di rispettare la distanza interpersonale di almeno un metro; è consentito lo svolgimento delle attivita’ propedeutiche alle predette riaperture.
A decorrere dal 9 agosto 2020 sono consentite le attività di preparazione delle manifestazioni fieristiche che non comportano accesso di spettatori.
Le Regioni e le Province autonome, in relazione all’andamento della situazione epidemiologica nei propri territori, possono stabilire una diversa data di ripresa delle attività, nonché un diverso numero massimo di spettatori in considerazione delle dimensioni e delle caratteristiche dei luoghi.
Sono state aggiornate le linee guida per la riapertura delle attività economiche, produttive e ricreative (Allegato 9) e sono stati inseriti nuovi allegati:
Le nuove disposizioni si applicano da domenica 9 agosto 2020, in sostituzione di quelle contenute nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 giugno 2020, come prorogato dal decreto del 14 luglio 2020.
CIGO, ASO e CIGD: i chiarimenti INPS sui termini di decadenza
da adminCon il messaggio n. 3007 del 31 luglio 2020, l’INPS ha illustrato gli aspetti relativi all’operatività della decadenza per l’invio delle istanze CIGO, ASO e CIGD nei casi di mancato rispetto dei termini stabiliti per le richieste di pagamento diretto da liquidarsi a cura dell’Istituto.
Com’è noto l’articolo 71 del d.l. n. 34/2020, come convertito dalla l. n. 77/2020, ha modificato l’articolo 22-quater del d.l. n. 18/2020, prevedendo, al comma 4, che, nel caso di domanda di pagamento diretto della cassa integrazione in deroga con richiesta di anticipo del 40%, il datore di lavoro è tenuto a trasmettere la domanda di concessione del trattamento entro il quindicesimo giorno dall’inizio del periodo di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa, unitamente ai dati essenziali per il calcolo e l’erogazione dell’anticipazione, secondo le modalità indicate dall’Istituto (cfr. la circolare n. 78/2020).
In virtù del richiamo operato dal successivo articolo 22-quinquies del decreto-legge n. 18/2020 e ss. mm., la disciplina del pagamento diretto e i connessi termini decadenziali si applicano anche ai trattamenti di cassa integrazione ordinaria (CIGO) e di assegno ordinario (ASO), di cui agli articoli da 19 a 21 del medesimo decreto-legge, limitatamente alle domande presentate a decorrere dal trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del citato d.l. n. 34/2020, ovvero dal 18 giugno 2020.
L’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale ha precisato che tutte le istanze di trattamenti di CIGO, ASO e CIGD con pagamento diretto a carico dell’Istituto, contenenti o meno la richiesta di anticipo del 40%, rispetto alle quali la trasmissione del modello “SR 41” semplificato è intervenuta in violazione dei termini stabiliti dalla disciplina di riferimento, non potranno essere accolte.
Ne deriva che, in applicazione di quanto previsto dall’ultimo periodo dell’articolo 22-quater del d.l. n. 18/2020, come modificato dal d.l. n. 34/2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 77/2020, il trattamento non è più erogabile dall’Istituto.
I datori di lavoro dovranno, quindi, farsi carico della mancata prestazione e saranno altresì chiamati a sostenere il pagamento della prestazione e gli oneri ad essa connessi.
L’INPS ha infine comunicato che con successivo messaggio verranno forniti i chiarimenti relativi agli adempimenti a carico del datore per gli oneri connessi al pagamento della prestazione.