Legge 14 novembre 2024, n. 166, di conversione del d.l. 16 settembre 2024, n. 131.
È stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale lo scorso 16 novembre la legge di conversione del d.l. «salva-infrazioni» che, nel risolvere situazioni di contrasto fra l’ordinamento italiano e quello europeo, è intervenuto, in particolare, sul tema delle conseguenze risarcitorie dell’illegittimità dei contratti a termine nell’ambito del lavoro privato. La conversione in legge ha lasciato immutati, se non per piccole correzioni formali, gli art. 11 e 12 del decreto che intervengono su questa materia rimuovendo i limiti preesistenti al risarcimento del danno (da un minimo di 2,5 ad un massimo di 12 mensilità) liquidabile dal Giudice. Per effetto della riforma oggi il lavoratore può ottenere un risarcimento pià elevato se allega e prova il maggior danno.
La riforma riscrive altresì l’art. 36 d.lgs. n. 165/2001 prevedendo specifiche conseguenze risarcitorie (da un minimo di 4 ad un massimo di 24 mensilità) in caso di illegittimità del contratto a termine nel lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione.
In sede di conversione è stato introdotto l’art. 16-ter del decreto, che abroga la disposizione (co. 35 dell’art. 8 della l. n. 67/1988) secondo cui gli importi corrisposti dagli utilizzatori della prestazione in caso di distacco, a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo, non erano imponibili ai fini dell’IVA. Il nuovo regime (con l’imponibilità IVA di detti importi) si applica ai distacchi stipulati o rinnovati a partire dal 1° gennaio 2025.
Merita una rapida menzione anche l’art. 9 del decreto, che interviene su una recente procedura di infrazione stabilendo sanzioni per i datori di lavoro che mettono a disposizione dei lavoratori stagionali stranieri alloggi inidonei, prevedono un canone eccessivo per l’utilizzo degli alloggi, o ancora trattengono l’importo del canone direttamente dalla retribuzione del lavoratore stagionale.
Cronaca giuslavoristica di un semestre: gli aggiornamenti al mio Manuale
da Admin2Lo scorso 4 luglio è andata in stampa la seconda edizione del mio Manuale di diritto del lavoro.
Nel frattempo il diritto del lavoro ha continuato a far parlare di sé con varie novità che hanno reso opportuna una appendice di aggiornamento.
A questo link è possibile scaricare gli aggiornamenti.
La conversione del d.l. «salva infrazioni»: novità sul contratto a termine e ulteriori interventi normativi
da Admin2Legge 14 novembre 2024, n. 166, di conversione del d.l. 16 settembre 2024, n. 131.
È stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale lo scorso 16 novembre la legge di conversione del d.l. «salva-infrazioni» che, nel risolvere situazioni di contrasto fra l’ordinamento italiano e quello europeo, è intervenuto, in particolare, sul tema delle conseguenze risarcitorie dell’illegittimità dei contratti a termine nell’ambito del lavoro privato. La conversione in legge ha lasciato immutati, se non per piccole correzioni formali, gli art. 11 e 12 del decreto che intervengono su questa materia rimuovendo i limiti preesistenti al risarcimento del danno (da un minimo di 2,5 ad un massimo di 12 mensilità) liquidabile dal Giudice. Per effetto della riforma oggi il lavoratore può ottenere un risarcimento pià elevato se allega e prova il maggior danno.
La riforma riscrive altresì l’art. 36 d.lgs. n. 165/2001 prevedendo specifiche conseguenze risarcitorie (da un minimo di 4 ad un massimo di 24 mensilità) in caso di illegittimità del contratto a termine nel lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione.
In sede di conversione è stato introdotto l’art. 16-ter del decreto, che abroga la disposizione (co. 35 dell’art. 8 della l. n. 67/1988) secondo cui gli importi corrisposti dagli utilizzatori della prestazione in caso di distacco, a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo, non erano imponibili ai fini dell’IVA. Il nuovo regime (con l’imponibilità IVA di detti importi) si applica ai distacchi stipulati o rinnovati a partire dal 1° gennaio 2025.
Merita una rapida menzione anche l’art. 9 del decreto, che interviene su una recente procedura di infrazione stabilendo sanzioni per i datori di lavoro che mettono a disposizione dei lavoratori stagionali stranieri alloggi inidonei, prevedono un canone eccessivo per l’utilizzo degli alloggi, o ancora trattengono l’importo del canone direttamente dalla retribuzione del lavoratore stagionale.
Il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia sullo staff leasing
da Admin2Trib. Reggio Emilia, ord. 7 novembre 2024
Il c.d. staff leasing contrasta con la disciplina europea (direttiva 2008/104) che prevede, secondo la Corte di Giustizia, la necessaria temporaneità del c.d. lavoro interinale? Questo, in massima sintesi, l’oggetto dell’ordinanza di rinvio pregiudiziale dello scorso 7 novembre, che ha qualche possibilità di condurre ad una riscrittura di un importante pezzo della disciplina italiana sul lavoro in somministrazione.
Il tema della temporaneità del lavoro in somministrazione è stato, negli ultimi anni, ripetutamente affrontato in giurisprudenza con riferimento alla somministrazione a tempo determinato, laddove si è affermato che la necessaria temporaneità del lavoro interinale non può essere elusa tramite la reiterazione di contratti di somministrazione a tempo determinato con cui uno stesso lavoratore è inviato indefinitamente presso uno stesso utilizzatore, dovendosi in questo caso riconoscere il diritto alla costituzione di un rapporto a tempo indeterminato con l’utilizzatore.
La possibilità, già ipotizzata, che l’applicazione coerente del requisito di temporaneità della somministrazione evidenzi un radicale contrasto della disciplina in materia di staff leasing con il diritto europeo ora è espressamente presa in considerazione dall’ordinanza in oggetto. La questione, evidentemente, è avviata a conclusioni opposte a seconda che si ritenga o meno che la somministrazione a tempo indeterminato prevista in Italia rientri nell’ambito regolativo della direttiva 2008/104. Benché quest’ultima, testualmente, si riferisca solo alle forme di lavoro interinale «temporaneo», secondo il giudice del rinvio un’interpretazione degli obiettivi dell’intervento del legislatore europeo dovrebbe condurre a ritenere anche la somministrazione a tempo indeterminato soggetta ai vincoli della normativa europea: da qui prendono origine i quesiti posti alla Corte di Giustizia la cui risposta, come già accennato, potrebbe avere conseguenze dirompenti sul quadro normativo italiano in materia.
La direttiva sul lavoro nelle piattaforme digitali pubblicata in Gazzetta Ufficiale
da Admin2Direttiva 23 ottobre 2024, n. 2831.
All’esito di un lungo iter di approvazione, lo scorso 11 novembre è stata infine pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea la Direttiva 2024/2831, relativa al miglioramento delle condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme digitali, già approvata il 23 ottobre scorso.
Come già ricordato recentemente, il contenuto più importante del testo normativo è rappresentato dalla presunzione di subordinazione del rapporto che lega i prestatori di lavoro alle piattaforme «ogni volta che si riscontrano fatti che indicano un potere di controllo o direzione», con onere della prova contraria a carico del datore. Importanti previsioni sono anche disposte in materia di gestione algoritmica dei rapporti di lavoro, con la previsione di obblighi informativi sull’utilizzo dei sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati (su cui l’ordinamento italiano si era già attivato con il d.lgs. 104/2022) e, in modo ancora più innovativo, in materia di sorveglianza umana sui sistemi automatizzati e sul diritto a garantire il riesame umano delle decisioni assunte da questi. Da non sottovalutare nemmeno le previsioni in materia di trasparenza, con l’obbligo per le piattaforme di mettere a disposizione degli Stati membri e dei rappresentanti dei lavoratori una cospicua serie di informazioni.
La direttiva entra in vigore il prossimo 1° dicembre e dovrà essere trasposta dagli Stati membri entro il 2 dicembre 2026.
Ancora conferme sulla reintegrazione in caso di mancata contestazione dell’addebito disciplinare
da Admin2Cass. civ., sez. lav., ord. 11 novembre 2024, n. 28927
Con l’ordinanza in oggetto la Cassazione ribadisce un proprio principio che sembra ormai consolidato in tema di conseguenze sanzionatorie per l’omissione della contestazione prima dell’intimazione del licenziamento disciplinare. L’art. 18, co. 6, dello Statuto dei lavoratori prevede, in caso di violazione del requisito di motivazione del licenziamento o della procedura disciplinare di cui all’art. 7 dello Statuto, la sola sanzione indennitaria nella forma attenuata, trattandosi, secondo il legislatore, di vizi formali che non incidono sulla giustificatezza sostanziale del provvedimento. La Cassazione tuttavia, da tempo, nell’ipotesi di radicale difetto di contestazione dell’infrazione disciplinare applica la tutela reintegratoria attenuata di cui all’art. 18, co. 4, dal momento che in tale situazione si determina l’insussistenza dell’intero procedimento disciplinare, e non la mera violazione delle sue disposizioni. Nel ragionamento della Suprema Corte, infatti, la contestazione del fatto rappresenta un presupposto logico e giuridico necessario per la valutazione della illegittimità del recesso e la sua mancanza, pertanto, viene assimilata all’«insussistenza del fatto contestato» che legittima la reintegrazione a norma del comma 4. È evidente che, oggi, questo modo di ragionare trova delle rispondenze nelle argomentazioni svolte dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 128 del 2024.
L’opzione per il sistema contributivo dopo la riforma delle pensioni
da Admin2Cass. civ., sez. lav., ord. 19 novembre 2024, n. 29768
La Cassazione, con la pronuncia in oggetto, chiarisce gli effetti dell’esercizio dell’opzione per il sistema contributivo effettuata dopo l’entrata in vigore del d.l. 201/2011, c.d. riforma Fornero del sistema pensionistico. Si ricorda, a tale proposito, che il co. 23 dell’art. 1 della l. 335/1995 (c.d. riforma Dini) aveva previsto, per i lavoratori la cui pensione sarebbe soggetta al sistema retributivo o a quello misto, la possibilità di optare per l’applicazione integrale del sistema contributivo. Originariamente, l’opzione comportava anche l’applicazione dei requisiti per l’accesso a pensione previsti nel sistema contributivo puro dalla stessa legge 335/1995. Con la riforma Fornero, tuttavia, l’inciso che conteneva tale ultima previsione è stato abrogato.
La pronuncia è stata resa su ricorso dell’INPS contro le sentenze di merito che avevano riconosciuto ad una lavoratrice il diritto a conseguire la pensione di vecchiaia secondo i requisiti pensionistici previsti prima del 2011, pur avendo esercitato l’opzione solo nel corso del 2013. La Cassazione ha accolto il rilievo mosso dall’Ente secondo cui, così ragionando, si trasformerebbe l’opzione per il regime contributivo in uno strumento per conseguire ex post una deroga al regime del d.l. 201/2011.
Pertanto, chiarisce la Suprema Corte, dopo l’entrata in vigore del d.l. n. 201/2011 l’opzione per il computo della pensione con il sistema contributivo non comporta più anche l’applicazione dei ben più favorevoli requisiti di accesso alla pensione di vecchiaia previsti prima della riforma, ma soltanto l’applicazione integrale del criterio contributivo per il computo della pensione (con evidente restrizione a casi particolari dei benefici conseguenti all’esercizio dell’opzione).