Ancora conferme sulla reintegrazione in caso di mancata contestazione dell’addebito disciplinare
Cass. civ., sez. lav., ord. 11 novembre 2024, n. 28927
Con l’ordinanza in oggetto la Cassazione ribadisce un proprio principio che sembra ormai consolidato in tema di conseguenze sanzionatorie per l’omissione della contestazione prima dell’intimazione del licenziamento disciplinare. L’art. 18, co. 6, dello Statuto dei lavoratori prevede, in caso di violazione del requisito di motivazione del licenziamento o della procedura disciplinare di cui all’art. 7 dello Statuto, la sola sanzione indennitaria nella forma attenuata, trattandosi, secondo il legislatore, di vizi formali che non incidono sulla giustificatezza sostanziale del provvedimento. La Cassazione tuttavia, da tempo, nell’ipotesi di radicale difetto di contestazione dell’infrazione disciplinare applica la tutela reintegratoria attenuata di cui all’art. 18, co. 4, dal momento che in tale situazione si determina l’insussistenza dell’intero procedimento disciplinare, e non la mera violazione delle sue disposizioni. Nel ragionamento della Suprema Corte, infatti, la contestazione del fatto rappresenta un presupposto logico e giuridico necessario per la valutazione della illegittimità del recesso e la sua mancanza, pertanto, viene assimilata all’«insussistenza del fatto contestato» che legittima la reintegrazione a norma del comma 4. È evidente che, oggi, questo modo di ragionare trova delle rispondenze nelle argomentazioni svolte dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 128 del 2024.