Il rider è un lavoratore subordinato
Con decisione del 20 novembre 2020 il Tribunale di Palermo ha dichiarato la natura subordinata del rapporto di lavoro di un rider di una nota piattaforma di food-delivery.
Il Giudice del Lavoro, in particolare, dopo aver richiamato la giurisprudenza nazionale e internazionale in tema di lavoro tramite “piattaforme digitali”, ha qualificato il rapporto come subordinato alla stregua dell’art. 2094 c.c.
Nel caso di specie la prestazione risulta infatti “completamente eteroorganizzata e la libertà del rider di scegliere se e quando lavorare, su cui si fonda la natura autonoma della prestazione, non è reale ma fittizia, poiché, a tutto concedere, il lavoratore può scegliere di prenotarsi per i turni che la piattaforma (e quindi il datore di lavoro che ne è titolare e ne ha il controllo) mette a sua disposizione in ragione del suo punteggio”.
“Egli inoltre per poter realmente svolgere la prestazione, deve essere loggato nel periodo di tempo che precede l’assegnazione della consegna, avere il cellulare carico in misura pari almeno al 20% e trovarsi nelle vicinanze del locale presso cui la merce dev’essere ritirata, poiché altrimenti l’algoritmo non lo selezionerà, benché egli avesse prenotato e non disdetto lo slot, con la conseguenza che, in verità, non è lui che sceglie quando lavorare o meno, poiché le consegne vengono assegnate dalla piattaforma tramite l’algoritmo, sulla scorta di criteri del tutto estranei alle preferenze e allo stesso generale interesse del lavoratore”.
Il Tribunale ha inoltre osservato che la circostanza che il punteggio del rider aumenti in modo premiale, in relazione allo svolgimento di attività in c.d. “alta domanda” del partner convenzionato, all’efficienza del lavoratore, al feedback dell’utente, all’esperienza del lavoratore e al feedback dei partner, non toglie affatto che il suo mancato aumento o la sua riduzione costituiscano delle vere e proprie sanzioni disciplinari atipiche, sanzionando un rendimento del lavoratore inferiore alle sue potenzialità con una retrocessione nel punteggio e quindi nella possibilità di lavorare a condizioni migliori o più vantaggiose.
Il Giudice ha dunque riqualificato la cessazione della collaborazione, avvenuta per mancata riattivazione dell’account dopo una sospensione, alla stregua di un licenziamento orale e per fatti concludenti, ordinando la reintegrazione e condannando la società a corrispondere al lavoratore le differenze retributive derivanti dal contratto collettivo nazionale applicato dall’impresa al proprio personale (CCNL Terziario).