Pausa pranzo e buoni pasto nel pubblico impiego
Con ordinanza 21 ottobre 2020, n. 22985 la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso promosso dalla dipendente di un Ministero, la quale chiedeva la corresponsione di un’indennità sostitutiva dei buoni pasto non fruiti.
Prima di entrare nel merito della questione sottoposta al suo scrutinio, la Suprema Corte ha chiarito che il diritto alla fruizione dei buoni pasto ha natura assistenziale e non retributiva, essendo finalizzato ad alleviare, in mancanza di un servizio mensa, il disagio di chi è costretto, in ragione dell’orario di lavoro, a mangiare fuori casa.
A fronte di tale natura, il diritto al buono pasto dipende direttamente dalle previsioni di legge o di contratto collettivo che ne dispongono il riconoscimento.
Inoltre, il sorgere del diritto al buono pasto discende dalla concreta fruizione della pausa pranzo.
Per tale ragione, la Corte ha ritenuto di non poter riconoscere alla lavoratrice l’indennità sostitutiva dei buoni pasto non fruiti, in quanto la dipendente aveva espressamente e di propria spontanea volontà rinunciato alla pausa pranzo.
Ciò premesso, la Corte ha colto l’occasione per precisare che la ricorrente ben avrebbe potuto richiedere il risarcimento del danno per mancato rispetto delle norme in materia di pause e riposi.