Divieto di licenziamenti economici e proroga dei contratti a termine: i chiarimenti dell’INL
Con la nota n. 160 del 3 giugno 2020 l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha fornito alcune precisazioni in relazione alle modifiche apportate dal d.l. n. 34/2020 (c.d. decreto Rilancio) al d.l. n. 18/2020 (c.d. decreto Cura Italia), già convertito dalla l. n. 27/2020.
In particolare, vengono evidenziate le modifiche apportate in sede di conversione del d.l. n. 18/2020 all’art. 46, nell’ambito del quale è stata aggiunta una precisazione che fa salve, rispetto al divieto di licenziamento, le procedure di recesso nelle “ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto di appalto”.
L’Ispettorato ha chiarito che il divieto in questione non opera nelle ipotesi e nella misura in cui il nuovo appaltatore “assorba” il personale impiegato nell’appalto.
Il divieto permane, invece, in capo all’appaltatore uscente in relazione al personale non “assorbito”, per il quale sarà possibile richiedere il trattamento di integrazione salariale laddove ne ricorrano i presupposti.
Si segnala inoltre che l’art. 80 del d.l. n. 34/2020, intervenendo sulle procedure di licenziamento, ha modificato il termine di sospensione previsto dall’art. 46 d.l. n. 18/2020.
La nota precisa che non potranno essere avviate le procedure di licenziamento collettivo a decorrere dal 17 marzo 2020 (data di entrata in vigore del d.l. n. 18/2020) e per i cinque mesi successivi; mentre quelle pendenti, avviate dopo il 23 febbraio, sono sospese per il medesimo periodo.
Il nuovo termine di cinque mesi a partire dal 17 marzo trova applicazione anche al divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo di cui all’art. 7 l. n. 604/1966.
Per espressa previsione di legge sono sospese anche le procedure di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in corso ossia quelle non ancora definite alla data di entrata in vigore del decreto legge.
L’Ispettorato ha dunque chiarito che fino allo spirare dei cinque mesi (e quindi fino al prossimo 17 agosto) non potranno essere avviate le procedure di cui all’art 7 l. n. 604/1966 né potranno essere trattate quelle pendenti.
Nell’ipotesi in cui il datore di lavoro abbia esercitato il recesso nel periodo compreso fra il 23 febbraio e il 17 marzo, lo stesso può revocarlo purché “contestualmente faccia richiesta di trattamento di cassa integrazione salariale in deroga, di cui all’art. 22, dalla data in cui abbia avuto efficacia il licenziamento” ed “in tal caso il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, senza oneri né sanzioni per il datore di lavoro”.
In ordine all’art. 93 del d.l. n. 34/2020 che ha introdotto la possibilità di derogare all’obbligo di indicare le condizioni di cui all’art. 19, comma 1, d.lgs. n. 81/2015 qualora si intenda prorogare o rinnovare sino al 30 agosto 2020 i contratti a termine in essere al 23 febbraio, la nota ha precisato che ai fini della proroga o del rinnovo “acausale” deve ricorrere la seguente doppia condizione:
- il contratto a tempo determinato deve risultare in essere al 23 febbraio 2020 (sono pertanto esclusi i contratti stipulati per la prima volta dopo il 23 febbraio 2020);
- il contratto di lavoro prorogato o rinnovato deve cessare entro il 30 agosto 2020.
Resta ferma la possibilità di disporre una proroga “acausale” anche oltre il 30 agosto laddove la stessa, nel rispetto dell’art. 19, comma 1, d.lgs. n. 81/2015, non comporti il superamento del periodo di 12 mesi.