Estorsione mediante minaccia di licenziamento.
Cass., sez. pen., 5 maggio 2016, n. 18727 ritiene integrato il reato di estorsione per il datore di lavoro che, mediante minaccia di licenziamento, fa sottoscrivere un contratto di lavoro a tempo parziale (con una utilizzazione continua dei lavoratori con orario superiore) con la costrizione a firmare dimissioni in bianco ed a dichiarare il falso a fronte di una visita ispettiva.
La decisione, dopo aver ricordato che l’oggetto della tutela giuridica nel reato di estorsione è l’inviolabilità del patrimonio, e, nel contempo, la libertà di autodeterminazione e che la lesione di questi diritti è il risultato di una situazione di costrizione determinata dalla violenza o dalla minaccia del soggetto agente, afferma come “anche lo strumentale uso di mezzi leciti e di azioni astrattamente consentite può assumere un significato ricattatorio e genericamente estorsivo, quando lo scopo mediato sia quello di coartare l’altrui volontà; in tal caso, l’ingiustizia del proposito rende necessariamente ingiusta la minaccia di danno rivolta alla vittima e il male minacciato, giusto obiettivamente, diventa ingiusto per il fine cui è diretto”.
Nella vicenda sottoposta all’esame dei giudici di legittimità erano emersi i comportamenti prevaricatori del datore di lavoro, il quale si era avvalso, da un lato, della situazione del mercato del lavoro allo stesso particolarmente favorevole (in cui l’offerta superava di gran lunga la domanda) e, dall’altro, della minaccia di approfittare di siffatta situazione.
La sentenza conclude ritenendo integrato il reato di estorsione anche dalla “condotta del datore di lavoro che, anteriormente alla conclusione del contratto, impone al lavoratore ovvero induce il lavoratore ad accettare condizioni contrarie a legge ponendolo nell’alternativa di accettare quanto richiesto ovvero di subire il male minacciato”.
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